Nel 1928 il batteriologo londinese Alexander Fleming andò in vacanza lasciando distrattamente sul bancone del proprio laboratorio delle piastre di Petri, contenenti del comune stafilococco. Al ritorno dalla vacanza non trovò la piastra invasa da batteri, bensì da un fungo: la cosa strana era che, nelle zone dove si era sviluppato il fungo, vi era la completa assenza di stafilococchi. Questa è la storia della scoperta degli antibiotici.
La domanda sorge spontanea: cosa c’entra tutto ciò con il fenomeno Big Data? La risposta è semplice. La scoperta degli antibiotici e il conseguente impatto sulle nostre vite possono essere concettualmente paragonati con l’avvento dei Big Data. L’antibiotico fu scoperto “casualmente”, così come l’avvento dei Big Data non è stato altro che l’effetto “residuale” o collaterale della capillare diffusione di strumenti tecnologici nati per soddisfare bisogni nettamente differenti rispetto alla raccolta ed elaborazione dei dati. Semplificando molto le cose possiamo tradurre Big Data come “immenso flusso di informazioni” (che devono soddisfare dei particolari criteri) e tutte le metodologie matematico-statistiche tramite le quali manipolare, interpretare e gestire queste informazioni.
Per comprendere cosa si intenda per grande quantità di dati, possiamo pensare che ogni minuto 204,4 milioni di email sono inviate, 48 ore di filmati sono caricati su Youtube e si effettuano 2 milioni di ricerche su Google. Se fino a pochi anni fa si ragionava in termini di Terabyte (1000 Gigabyte), adesso dobbiamo imparare a pensare in termini di Zettabyte (un miliardo di Terabyte): si stima che nel 2025 il mondo avrà 180 Zettabyte di dati (180 trilioni di Gigabyte).
Da un punto di vista prettamente finanziario le nuove frontiere in termini di Big Data offrono opportunità di investimento su due diversi livelli:
- Gli investimenti da parte delle aziende in strumenti di analisi dei dati, per migliorare l’assetto strategico e acquisire vantaggio competitivo. Si crea così un circolo virtuoso, aziende che investono in Big Data migliorano i propri processi decisionali, riducono i costi e attraggono nuovi investimenti.
- Investimenti in società che puntano ad elaborare strumenti per l’analisi dei dati.
Di questo ultimo gruppo sta emergendo un vertiginoso trend in crescita negli investimenti in AI (intelligenza artificiale, conseguenza diretta dello sviluppo dei Big Data) da parte di colossi quali Google, Facebook, Amazon, IBM, Intel, Microsoft.
Le dimensioni del mercato dei Big Data nel suo complesso sono impressionanti: 130 miliardi di dollari oggi, che arriveranno a 203 nel 2020. Il settore che beneficia di più di questa crescita è quello bancario, dato che è stato anche il settore che più ha investito nei Big Data. Nel contesto bancario il loro utilizzo è importante sotto vari aspetti, come il comprendere meglio le esigenze di consumo dei propri clienti e creare un miglior profilo di rischio di credito degli stessi. Queste informazioni, acquisite attraverso le transazioni su carte di pagamento, investimenti finanziari, immobiliari, concessione di fidi ed altro sono doppiamente redditizie nelle mani delle Banche, dato che possono essere non solo utilizzate per finalità interne, ma anche vendute ad altre aziende di servizi, rappresentando così un’ulteriore fonte di guadagno. Nel dibattito circa l’utilizzo dei Big Data vi è il problema legato alla privacy. In America si sta cercando di eluderlo attraverso un metodo che consenta ai consumatori stessi di monetizzare l’utilizzo dei propri dati.
In conclusione, i Big Data rivoluzioneranno, anzi stanno già rivoluzionando, il mondo così come lo conosciamo, modificando radicalmente il paradigma economico, finanziario, lavorativo e secondo alcuni anche quello scientifico. A noi non resta altro da fare che assecondare e magari monetizzare tale rivoluzione considerando il fattore Big Data sintomatico di un investimento che può definirsi intelligente.
Fonti: