Nel nuovo articolo della nostra rubrica sulle aziende del settore spaziale, presentiamo Blue Origin.
L’americana Blue Origin è una delle poche compagnie private del settore che, oltre a fornire tecnologie nell’ambito aerospaziale ad enti pubblici come la Nasa, o ad altre compagnie private, come la United Launch Alliance ne fa un utilizzo autonomo, per esempio lanciando vettori e capsule spaziali auto prodotte. Inoltre, fa parte della piccola cerchia di compagnie interessate a fornire servizi di turismo spaziale. Blue Origin fu fondata dal creatore di Amazon, Jeff Bezos, 16 anni fa, nel settembre 2000, e ha sede in Kent, nello stato di Washington. In linea con l’andamento del settore, uno dei suoi scopi principali è quello di ridurre drammaticamente i costi dei lanci, rendendo economicamente accessible lo spazio ai privati.
Come abbiamo già visto nei precedenti articoli, per raggiungere questo obiettivo è indispensabile disporre di tecnologie riutilizzabili, appare quindi ovvio che la compagnia di Washington abbia adottato una tipologia di lanciatore riutilizzabile simile al Falcon 9 della concorrente SpaceX. I veicoli fino ad oggi utilizzati dalla Blue Origin, però, non si sono ancora spinti oltre il volo sub-orbitale, cioè la tipologia di volo che raggiunge lo spazio, arrivando ad un’altezza minima di 100 km sul livello del mare, ma la cui orbita interseca l’atmosfera non riuscendo quindi a compiere una completa rivoluzione intorno al pianeta. La compagnia adotta un approccio graduale, basando ogni propria fase di sviluppo sul lavoro svolto in precedenza; il piano è di arrivare al volo orbitale lavorando e facendo esperienza nel gradino precedente, per l’appunto quello del volo sub-orbitale. Questo approccio viene descritto dal motto dell’azienda: “Gradatim Ferociter”, che può essere tradotto come “Un passo alla volta, coraggiosamente”. A prima vista potrebbe sembrare che le tecnologie di cui dispone la Blue Origin non siano all’altezza della concorrenza: basterebbe per esempio pensare al Falcon 9 della SpaceX che già effettua voli orbitali, ma la società di Bezos può vantarsi di essere stata la prima a raggiungere traguardi importanti, che potrebbero erroneamente essere attribuiti alla compagnia di Musk. I mezzi di Blue Origin sono progettati con in mente scopi diversi da quelli delle altre aziende, tra cui quello del turismo spaziale. Riguardo questi fraintendimenti potrebbe giocare un ruolo primario la segretezza con cui vengono gestiti i piani della compagnia; addirittura, la sua esistenza venne rivelata al pubblico nel 2003, solamente 3 anni dopo la nascita. Al contrario, l’interesse del fondatore nello spazio può essere fatto risalire molto indietro nel tempo. Nel 1982, a 18 anni, in un intervista Bezos disse che avrebbe voluto “costruire hotel spaziali, parchi divertimento e colonie per 2 o 3 milioni di persone che sarebbero state in orbita.”
Per far chiarezza sui primati di cui può vantarsi la Blue Origin e sulle tecnologie di cui dispone andiamo a conoscerne meglio la storia.
La nascita e i primi test
Dopo la rivelazione al pubblico dell’esistenza della compagnia, si dovettero attendere altri 2 anni per ottenere notizie precise riguardo ai progetti che sarebbero stati intrapresi dalla Blue Origin nel campo del volo spaziale privato. Le notizie arrivarono nel gennaio 2005, quando Bezos, in un intervista, annunciò che l’azienda si sarebbe impegnata nello sviluppo di un veicolo spaziale in grado di compiere voli sub-orbitali, decollare e atterrare verticalmente e trasportare tre o più astronauti al confine con lo spazio (100 km di altitudine). Mesi prima dell’intervista, precisamente il 5 marzo dello stesso anno, volò, per la prima e unica volta, il Charon, il primogenito velivolo-test della Blue Origin, sviluppato per mettere alla prova tecnologie e processi che sarebbero stati adottati nel futuro. Il prossimo velivolo-test, Goddard, volò per la prima volta il 13 Novembre 2006. In quel periodo erano già in discussione piani per la creazione di un servizio di turismo sub-orbitale che sarebbe dovuto partire nel 2010, con voli previsti ogni settimana, che però ancora non ha preso totalmente il via, previsto ora per il 2018.
Nel 2007 il sito ufficiale descriveva gli obiettivi della compagnia, ovvero di “pazientemente e passo-passo, ridurre il costo del volo spaziale, in modo tale che possa essere effettuato da un gran numero di persone e che l’umanità possa continuare al meglio l’esplorazione del sistema solare”.
Il New Shepard e i suoi primati
In un’altra intervista, avvenuta nel 2011, Bezos indicò che la compagnia fosse stata fondata per spedire i clienti nello spazio concentrandosi su due obiettivi: la riduzione dei costi e l’aumento della sicurezza. Rispetto a questo ultimo punto, la Blue Origin ha effettuato diversi test per garantire la salvaguardia dell’equipaggio a bordo della capsula del New Shepard, il più recente dei loro lanciatori. Il primo test venne eseguito il 19 ottobre 2012. Avvenuto il lancio, nel caso un’anomalia sia rilevata, può essere avviato istantanemente e automaticamente il motore a razzo di cui dispone la capsula, che verrebbe allontanata dal lanciatore, la cui eventuale esplosione potrebbe altrimenti coinvolgere anche la capsula. Dopo l’allontanamento, la capsula è in grado di atterrare docilmente a terra grazie all’utilizzo di diversi paracadute. Questi test riguardanti la sicurezza furono effettuati prima ancora che il New Shepard avesse compiuto il suo primo volo. Nell’aprile del 2015 venne annunciato che sarebbe iniziata una fase di lanci sperimentali del nuovo lanciatore riutilizzabile, che sarebbero stati effettuati con cadenza mensile, questa fase di test dovrebbe durare fino al 2017.
Il sistema riutilizzabile di volo spaziale sub-orbitale New Shepard è composto da due veicoli: una capsula per l’equipaggio, che può contenere tre o più astronauti e un vettore a propulsione a razzo che la lancia. I due veicoli partono da terra insieme e sono progettati per separarsi durante il volo. Dopo la separazione, è previsto per il cosidetto “booster” il ritorno a terra, effettuato tramite un atterraggio verticale, mentre la capsula seguirebbe un’altra traiettoria, toccando poi terra dopo una fase di rallentamento tramite paracadute. Entrambi I veicoli, il booster e la capsula, sono progettati per essere recuperati e riutilizzati. Il New Shepard è comandato interamente da computer di bordo, senza intervento da parte di piloti o del centro di comando a terra. Il nome del sistema è un omaggio al primo americano che raggiunse lo spazio, Alan Shepard.
Il primo vero volo del sistema avvenne il 29 aprile 2015, durante il quale fu raggiunta un’altitudine di 93.5 km. Anche se il lancio fu dichiarato un successo e la capsula fu recuperata dopo l’atterraggio, il booster si schiantò durante la fase di ritorno a terra e non potè essere recuperato. La causa del fallimento fu attribuita al sistema del controllo del veicolo, in particolare alla gestione della pressione idraulica.
Già in seguito a questo primo volo, la compagnia inizò ad accettare la registrazione per l’accesso anticipato ai biglietti e alle informazione riguardo ai costi per voli sub-orbitali. Dopo la perdita del primo New Sheprad, NS1, ne fu costruito un secondo, NS2. Il suo primo volo avvenne il 23 novembre 2015 e questa volta fu un successo totale: venne raggiunta un’altitudine superiore al volo precedente, 100.5 km, e sia la capsula che il booster vennero recuperati. Il booster, infatti, performò un atterraggio verticale, il primo nella storia avvenuto dopo aver spedito qualcosa nello spazio, questo è forse il più importante primato nel campo del volo spaziale dei nostri tempi, come si potrebbe capire dalle parole di Jeff Bezos poco dopo il successo: “E’ ora messa al sicuro nel nostro sito di lancio in Texas una delle più rare bestie: un razzo che ha già volato”. La riutilizzabilità totale del sistema New Shepard fu dimostrata poco dopo, il 22 gennaio 2016, quando gli stessi booster e capsula furono lanciati e recuperati nuovamente con successo. Questo importante traguardo deve ancora essere raggiunto dalla concorrente SpaceX, la quale dispone già di diversi booster che hanno già volato, ma ancora non ne ha riutilizzato alcuno. Bisogna però ricordare che il New Shepard è un veicolo molto più piccolo del Falcon 9. Mettiamo per esempio a confronto i pesi: 40 tonnellate del New Shepard contro 460 del Falcon 9. L’NS-2 venne riutilizzato per un totale di 5 volte. Un terzo New Shepard è stato già costruito ed è prevista la realizzazione di un totale di 6 veicoli; ognuno di essi necessita 9-12 mesi di lavoro.
Si conclude qui la prima parte dell’articolo, nel secondo appuntamento (pubblicazione prevista per domani sera) sulla compagnia di Jeff Bezos, Blue Origin, andremo a conoscerne il nuovo lanciatore, i piani per il futuro, le fonti degli investimenti e il suo rapporto con le altre compagnie del settore aerospaziale.
Francesco Pettini