Tra il 1986 e il 1991 si sviluppò nel settore immobiliare nipponico un’enorme bolla speculativa immobiliare. La bolla scoppiò nel 1991, causando un crollo dell’economia Giapponese. Prima del periodo della crisi, scoppiata a causa dei troppi prestiti concessi a basso tasso d’interesse, crebbe molto la domanda di beni di lusso e di beni immobili. Il valore della moneta crebbe fino al 10-12%, mentre nello stesso periodo il reddito reale manteneva una crescita tra il 4,4% e il 6,6%.
Così le imprese immobiliari iniziarono speculare molto sul mercato, credendosi più forti economicamente di quanto erano in realtà. Tale attività venne permessa dalla Banca centrale di Tokyo, poiché ritardò i provvedimenti per fermare la creazione della bolla. Il Piano fiscale, che doveva servire a limitare l’eccessiva speculazione, che aziende come la BOJ (Bank of Japan) dovevano attuare tra il 1989 e il 1990, venne posticipato a causa dell’incertezza economica scoppiata dopo il Lunedì nero del 1987. Altro fardello che favorì la creazione e il successivo scoppio della Bolla fu la ratifica dell’accordo del Louvre, nello stesso anno, che stabilizzò il dollaro. L’accordo diede al ministero delle finanze Nipponico la motivazione per non attuare una politica che avrebbe favorito la valuta statunitense, lasciando ogni responsabilità di politica monetaria alla Banca del Giappone. Tutti questi fattori, causati anche dalla liberalizzazione delle regole finanziarie, contribuirono, dal 1986, allo sviluppo della Bolla sia nel mercato degli immobili del Giappone sia nel mercato finanziario.
La bolla
Nel 1987 il reddito pro capite del Giappone superava quello statunitense. Due anni dopo, il 29 dicembre 1989, l’Indice Nikkei raggiunse il suo massimo storico toccando quota 38.915,87. Questa situazione diede l’impressione che il Giappone si stesse apprestando a diventare la prima potenza economica mondiale. Tuttavia la bolla, partita dal mercato immobiliare, scoppiò nei primi mesi del 1991. La BOJ, nel tentativo di adottare una politica più disciplinata sul bilancio, aumentò i tassi di interesse. Si arrivò all’impossibilità per gli istituti bancari di istituire prestiti a causa dell’insolvenza dei clienti dopo il cambio dei tassi. Neanche il pignoramento dei beni, dati alla banca come garanzia, si rivelò utile, poiché la maggior parte di essi avevano totalmente perso gran parte del loro valore. Il totale del capitale andato in fumo, a causa del crollo dei prezzi, nel settore immobiliare e nel mercato finanziario ammontava a un miliardo di Yen, corrispondente a 2,4 percento del PIL giapponese. Lo scoppio della Bolla causò il calo della domanda interna, l’Indice Nikkei crollò a 15.000 punti nel 1992 con una perdita di capitale di quasi 430 mila miliardi di yen. Tale situazione portò all’applicazione di una serie di pratiche finanziare discutibili da parte del governo giapponese, come il risarcimento dei grandi investitori, la manipolazione di titoli azionari, il ricorso a bilanci fittizi che servivano a nascondere le perdite. Gli anni successivi l’indice Nikkei risalì arrivando a 20.500 punti, ma gli affitti di Tokyo diminuirono fino al 20% e gli investitori esteri nel settore immobiliare diminuirono in maniera drastica. Il valore degli appartamenti, situati nelle zone residenziali, scese ad un terzo di quello che avevano negli anni ottanta. Le Banche non riuscirono a fermare l’indebitamento, poiché non seppero approfittare delle agevolazioni che fornì la Banca del Giappone, che permetteva di espandere la capacità di prestito degli istituti bancari, ed i loro capitali continuavano a diminuire.
Vittime e conseguenze
Allora, per provare ad evitare altri danni, si cominciò a rifiutare il rinnovo dei prestiti a molti dei loro clienti. Le maggiori vittime furono le piccole imprese, che iniziarono a fallire, allo spaventoso ritmo di circa mille al mese, causando un forte aumento della disoccupazione che nell’aprile 1995 arrivò al 3,2% della popolazione. In seguito, le grandi imprese iniziarono a delocalizzare le proprie sedi, spostandosi nelle vicine nazioni, il che portò ad un ulteriore aumento della disoccupazione.
Questi eventi a catena fecero sprofondare il Giappone in un periodo di deflazione che durò 10 anni. Quel periodo venne ricordato come “il decennio perduto”, con una crescita annuale pari all’1,4% del PIL, notevolmente inferiore al 4,1% degli anni ottanta. All’inizio la crescita del Pil non preoccupò il governo nipponico che sottovalutò la crisi deflazionaria. Tra il 1992 e il 1995, Tokyo approvò diverse manovre finanziarie che si rivelarono non solo inefficaci ma anche deleterie. Un’altro errore fu quello, delle banche giapponesi, di mantenere in vita le cosiddette imprese zombie, imprese in gravi difficoltà finanziarie ma considerate “troppo grandi per fallire”. In seguito si ebbe un periodo di ripresa sostenuto da un rifiorire dell’attività produttiva e da una politica fiscale atta a sostenere il mercato onde evitare il default degli istituti bancari. Nel 1997, l’aumento delle aliquote delle imposte indirette causò lo sviluppo di un’ulteriore fase recessiva che si caratterizzò con il crollo dei maggiori istituti bancari. Inoltre il 1997 giapponese fu influenzato dalla crisi finanziaria asiatica, che era in atto nel sud-est asiatico. Questo causò la diminuzione delle esportazioni giapponesi verso i paesi vicini, che dava un forte contributo al PIL giapponese. Il Giappone fu costretto a convivere con la recessione fino al 2000, nonostante alcuni tentativi (pacchetti di legge ad hoc) falliti.
La fine della crisi
Nel 2006 la crescita del PIL Giapponese, che si attestò al 3,2%, fece presagire un superamento della crisi, la fine del “decennio perduto”. Ma la recessione 2007-2008, sviluppatasi in America, colpì la nazione del Sol Levante che nel 2007 vide una forte diminuzione del Pil che crebbe solamente dello 0,4% . Molti addetti ai lavori si riferiscono al decennio perduto non solo parlando del periodo 1991-2001, ma anche a quello successivo fino al 2011-2013. Nel 2013, con il supporto della politica economica del governo Abe, il PIL registrò una crescita dell’1,9%,superando tutte le attese ed uscendo finalmente dalla crisi.