Stipendi da capogiro
La retribuzione dei manager bancari è un argomento che ha acquistato notevole popolarità a seguito della crisi economico-finanziaria del 2008. Alcuni episodi legati alle grandi banche di investimento come Merrill Lynch (che aveva pagato sostanziali premi di fine anno ai propri dirigenti e dipendenti dopo aver ricevuto fondi di salvataggio e appena prima del completamento della sua acquisizione da parte della Bank of America) o a compagnie di assicurazione come AIG (che, dopo essere stata salvata con 122 miliardi di dollari di sovvenzioni federali, ha elargito 121 milioni di bonus ai suoi dirigenti per rimanere alla guida della società) hanno fomentato le critiche più feroci contro questo tipo di remunerazioni. Ai giudizi sempre più negativi sono seguite le riforme: negli Stati Uniti la Dodd-Frank ha posto in essere una più stringente regolamentazione al sistema finanziario, concentrandosi in particolar modo sul sistema di governance aziendale e sul sistema di remunerazione utilizzato verso il management. Nel 2009 anche in Europa, a seguito dei richiami di Francia e Germania, si è voluto porre un freno alle enormi retribuzioni dei manager degli istituti finanziari.
Le cause fondamentali della crisi del 2008 sono apparentemente lontane dai bonus elargiti in quegli anni, ma questi senza alcun dubbio hanno portato a pratiche di risk shifting consistenti nel fatto che in caso di default la proprietà di un’impresa non sopporta costi oltre la misura del proprio investimento iniziale: per tale ragione il rischio di fallimento associato a un dato progetto d’investimento è interamente a carico dei creditori. Tanto maggiore sarà il debito, tanto più proprietà e management avranno incentivo a intraprendere progetti d’investimento più rischiosi in quanto i creditori sopporteranno il rischio, laddove la proprietà otterrà il guadagno nel caso in cui il progetto vada a buon fine. L’eccessiva assunzione di rischi da parte del top-management ha poi senz’altro avuto un ruolo determinante nel portare la bolla immobiliare a livelli molto più alti del dovuto. Nonostante ciò non sembra corretto annoverare i bonus come causa principale della crisi; ciò che ha portato ad assunzioni di rischi così elevati è stata più verosimilmente la comune sensazione secondo la quale i prezzi degli immobili sarebbero aumentati all’infinito (la cosiddetta ipotesi bonanza): questa irrazionale convinzione ha portato molti operatori a sottostimare i rischi esponendosi in tal modo alle tempeste del mercato.
Relazione di agenzia
I bonus che vengono elargiti ai top manager sono rappresentati da diversi tipi di remunerazione, come stock options, bonus in contanti e azioni vincolate, e sono legati ad un sistema di incentivazione delle performance aziendali. Il sistema mira ad annullare i conflitti di interesse esistenti tra management e azionisti dell’azienda, facendo in modo che gli interessi della dirigenza vadano a coincidere almeno in parte con quelli degli azionisti. Sono infatti le cosiddette relazioni di agenzia a generare la necessità di un sistema retributivo che vada ad eliminare o lenire in parte il conflitto tra decisioni della dirigenza e interessi dei proprietari. Una relazione di agenzia è un contratto in base al quale una o più persone (il principale) obbliga un’altra persona (l’agente) a ricoprire per suo conto una data mansione e ciò implica una delega di potere all’agente.
La teoria dell’agenzia studia i problemi che scaturiscono dalla divergenza di interessi tra le parti, oltre ad un’imperfetta informazione sugli stati della natura e degli attori e ad una forte asimmetria informativa. L’opportunismo insito nelle due parti porta a problemi di adverse selection (selezione avversa) e moral hazard (rischio morale). Gli interessi divergenti fanno sì che l’agente non operi nell’interesse del principale; a quest’ultimo non resterà dunque che cercare di ridurre tale divergenza attraverso sistemi di monitoring e di incentivi volti a limitare i comportamenti opportunistici dell’agente. Tutto ciò implica dei costi sia monetari che non monetari che vengono definiti costi di agenzia. I manager infatti potrebbero agire non sempre nel migliore interesse degli azionisti, in quanto spesso risultano troppo avversi al rischio nei periodi in cui l’impresa sta vivendo un periodo profittevole.
Immaginate che un’azienda stia prendendo in considerazione un nuovo investimento capace di incidere molto positivamente sul proprio valore ma allo stesso tempo molto rischioso: i proprietari dell’azienda vedrebbero di buon occhio l’investimento (il prezzo delle azioni salirebbe) ma il management potrebbe non essere d’accordo perché risultati non positivi potrebbero portare a licenziamenti o grosse perdite. Così se il management non dovesse effettuare l’investimento gli azionisti perderebbero un opportunità.
Gli incentivi
Questa teoria ha avuto un ruolo chiave nello sviluppare nuovi tipi di retribuzione, soprattutto verso i manager, come le stock options o le partecipazioni agli utili, che sono poi diventati in sostanza la parte più cospicua della remunerazione del management. Forse proprio qui risiede uno dei problemi fondamentali di questo tipo di incentivi: la parte fissa delle retribuzioni è infatti diventata irrisoria (soprattutto negli USA) rispetto alla componente bonus, facendo sì che i manager assumessero dei comportamenti volti a massimizzare non più l’interesse generale dell’azienda ma piuttosto la loro remunerazione in termini di bonus, legata, la maggior parte delle volte, al raggiungimento di obiettivi volti a incrementare i prezzi azionari grazie a strategie di breve periodo altamente rischiose: questo ha portato dunque il management da un atteggiamento relativamente avverso al rischio a comportamenti decisamente più azzardati.
Questo genere di condotta tende ad avvantaggiare anche la carriera dei manager che, perseguendo efficacemente gli interessi degli azionisti, saranno più richiesti sul mercato. Questo genere di bonus ha quindi portato, secondo alcuni, a manager che lavorano in una esclusiva ottica di breve periodo, non preoccupandosi dello sviluppo aziendale sul lungo termine e varando quindi progetti eccessivamente rischiosi che portano a incredibili guadagni oppure a disastrosi fallimenti. Seguendo la logica del breve periodo e della massimizzazione del prezzo azionario, i dirigenti hanno spesso dato poco ascolto ai risk manager non attuando strategie di copertura o riduzione delle esposizioni.