Confinante con la Guyana ad est, con il Brasile ad ovest e con la Colombia sul versante sud-occidentale, il Venezuela è uno stato di medie dimensioni assai ricco per biodiversità e paesaggi suggestivi. Guidato dal Partito Socialista Unito sin dall’improvvisa morte di Hugo Chavez, avvenuta nel 2013 ed immediatamente seguita dalle elezioni, a tutt’oggi il paese si trova sotto il controllo, più o meno democratico, del presidente Nicolas Maduro. Attraversato da una crisi economica e sociale senza precedenti, il Venezuela è oggi uno degli stati più poveri del mondo. Le ragioni di questo disastro sono diverse e strutturate su più livelli: la crisi del 2008, l’attuale malgoverno, le errate politiche monetarie sono solo alcuni degli esempi attraverso cui è possibile analizzare i fatti che hanno portato lo stato vinotinto a diventare uno dei peggiori paesi mondiali per tenore di vita (in questo articolo abbiamo spiegato nel dettaglio le ragioni della crisi venezuelana).
A febbraio 2017 le maggiori università venezuelane hanno divulgato l’indagine “Encovi” tramite la quale, raccogliendo i dati di migliaia di persone, è stato dimostrato quanto critica sia la situazione nel paese; crescendo in maniera esponenziale, la povertà nazionale è aumentata del 40% in soli tre anni, la reperibilità di beni primari è crollata al punto da costringere le persone ad uscire dalla nazione per comprare il cibo e obbliga ormai quotidianamente 2.400.000 persone a rovistare nella spazzatura alla ricerca di residui edibili. Attraverso le precedenti scelte del governo Chavez di investire in maniera massiccia sull’estrazione del petrolio e sulla nazionalizzazione delle grandi imprese, il paese era riuscito a costruire una propria economia nazionale, sfruttando quanto guadagnato dalla vendita dell’oro nero estratto per l’acquisto di beni di prima necessità dall’estero e per la creazione di programmi di edilizia popolare.
Quando, nel 2015, il valore del petrolio tracollò improvvisamente, il Venezuela ebbe un improvviso e gigantesco buco nel bilancio che provocò una paralisi in ogni settore; la situazione fu risolta provvisoriamente tramite l’emissione di cartamoneta. La crescente inflazione, causata dalla stampa incondizionata, a lungo termine ebbe come unico risultato quello di incentivare lo spostamento dei beni di maggiore uso sul mercato nero favorendo ancora di più la crescita dell’inflazione. Ad oggi gli economisti del FMI stimano addirittura che il tasso inflazionistico del paese sudamericano possa raggiungere il traguardo record del 2068% nel 2018.
Il bolivar venezuelano, una moneta dal duplice significato
L’unico dato all’apparenza davvero incoraggiante che giunge dal Venezuela è la serie di performance perennemente positiva della Borsa di stato nell’ultimo anno; a prima vista è davvero incredibile che in soli 12 mesi, per di più quelli in cui la crisi sociale ha raggiunto i massimi livelli storici, il mercato azionario di Caracas abbia raddoppiato il proprio valore registrando il miglior risultato su scala mondiale, ma se analizziamo meglio il complesso contesto in cui versa l’economia pianificata venezuelana si possono trovare alcune delle risposte cercate. È necessario tenere bene a mente che il valore del denaro locale è stato manipolato dal governo per garantire una stabilità politica sia sul piano interno che su quello internazionale: questo significa che se sui mercati ufficiali sono necessari 10 bolivar per acquistare un dollaro, sui mercati secondari, quali DolarToday, che sono gli unici ai quali è dato l’accesso senza restrizioni alla totalità dei cittadini, il valore di 20.000 bolivar, la banconota di maggior taglio recentemente messa sul mercato, è di appena 75 centesimi.
Ciò significa che la paradossale situazione di crescita del mercato non è dovuta ad opache manovre finanziarie, ma alla più che trasparente scelta dei pochi benestanti in grado di investire. Impossibilitati nel trasferire all’estero i propri capitali e decisamente contrari a cambiare i propri bolivar al tasso dei mercati ufficiosi, essi decidono di “cercare riparo” nell’unico bene apparentemente lontano da qualsiasi pericolo: la Borsa, appunto. Il rischio che deriva da questa situazione, però, è che le suddette basi di sicurezza si trasformino in una bolla speculativa di dimensioni colossali in grado di spazzare via qualsivoglia settore economico del Venezuela.
Accertata la farsa finanziaria è più che naturale porsi il seguente quesito: la crisi di Caracas quando giungerà al termine? Porsi delle scadenze è davvero difficile, a causa del controllo sempre maggiore esercitato da un governo centrale incapace di ripagare i debiti contratti con le superpotenze (determinati paesi vantano crediti perfino sulla carta con cui i bolivar vengono stampati) e distante dal porre le fondamenta per una lenta ma necessaria ricostruzione sull’intero territorio.