Il bracconaggio genera traffici internazionali con un giro d’affari da circa 23 miliardi di dollari l’anno. Lo rivelano le stime dell’UN Environment Programme (UNEP) in collaborazione con l’Interpol, pubblicate nei rapporti intitolati The Environmental Crime Crisis, dei quali esce una nuova edizione ogni anno dal 2014. Il mercato di specie animali a rischio ha vissuto un’importante crescita nel primo decennio del XXI secolo, soprattutto trainato dall’aumento della domanda nei Paesi dell’area Asia-Pacifico.
Gli animali più venduti
Considerando i traffici internazionali gli animali più venduti sono elefanti africani, rinoceronti e pangolini. I primi due generano, rispettivamente, circa 400 milioni di dollari e 200 milioni di dollari l’anno secondo le stime riferite al solo mercato asiatico, che rappresenta comunque più della metà di quello globale. Per i pangolini non esistono ancora stime precise ma meritano particolare attenzione per l’esplosiva crescita della domanda, con i sequestri aumentati del 998% dal 2009 al 2017. Per quanto riguarda elefanti e rinoceronti, invece, la situazione è in miglioramento grazie a nuove politiche adottate nei Paesi di caccia e di vendita.
L’avorio degli elefanti
Gli elefanti africani sono uccisi per le loro zanne, dalle quali si ricava l’avorio. Si tratta di un materiale pregiato utilizzato per realizzare sculture ed altri oggetti scolpiti. La domanda globale d’avorio, tuttavia, ha subito un brusco calo da quando la Cina ne ha vietato la vendita sul proprio territorio, con una legge entrata in vigore nel 2018. Il contraccolpo è osservabile guardando ai prezzi nei diversi Paesi, che si sono più che dimezzati dal 2014 al 2018, a fronte anche di una diminuzione dei sequestri registrati del 66,2% dal 2011 al 2018.
Il 34% dell’avorio sequestrato dal 2015 al 2019 era diretto in Vietnam, sebbene esso sia da tempo illegale nel Paese, ed il 27% in Cina. I due Paesi, da soli, rappresentano il 61% del totale, a fronte di un 20% dei casi nei quali è stato impossibile scoprire la destinazione.
Il corno di rinoceronte
In passato il corno di rinoceronte era soprattutto consumato in forma di polvere, quasi solo in Cina e nel sud-est asiatico, come medicinale per curare la febbre ed aiutare l’organismo ad espellere tossine. In realtà le sue proprietà sono state confutate dalle analisi chimiche, secondo le quali esso non contiene alcun principio attivo efficace sul corpo umano. I corni sono illegali, in Cina, dal 1997. Questo, tuttavia, non ha impedito alla Repubblica Popolare di essere la destinazione del 17,8% di tutti i lotti sequestrati nel mondo dal 2002 al 2019, dietro solo al Vietnam, con il 18,8%. È quasi certo, poi, che tali cifre siano a ribasso considerando che per il 53,7% dei sequestri nello stesso periodo non si è riusciti a scoprire quale fosse la destinazione finale. Nonostante il fiorente mercato interno, anche in Vietnam si tratta di un prodotto illegale.
Più che la credenza della sua efficacia come medicinale, il corno di rinoceronte era ricercato dai più ricchi come uno status, in quanto molto costoso ed associato alla ricchezza estrema nelle culture locali. Infatti, nel tempo, il suo impiego come farmaco è andato in declino e, nel 2021, è quasi scomparso. Tuttavia, la domanda non è affatto scomparsa allo stesso modo, ma si è orientata su prodotti decorativi da poter mostrare, rendendolo un mercato del tutto simile a quello dell’avorio.
Negli ultimi anni sono stati dedicati sempre più sforzi per contrastare il bracconaggio ed il traffico di corni. Questo è stato dovuto soprattutto all’estinzione di due specie a distanza di poco tempo l’una dall’altra, il rinoceronte di Sumatra ed il rinoceronte bianco settentrionale. Le nuove politiche si stanno dimostrando efficaci, con un calo circa del 50% di rinoceronti uccisi dai bracconieri ed i sequestri aumentati del 232% dal 2014 al 2017.
Le scaglie di pangolino
Il traffico illegale di pangolini ha iniziato a crescere dal 2009, con l’acquisto da parte di consumatori asiatici, soprattutto cinesi, delle loro scaglie essiccate per fini medicinali. La credenza alla base di tale pratica è che esse sarebbero benefiche per la salute di bambini piccoli e donne che allattano, anche se, come con il corno di rinoceronte, tali proprietà sono state smentite dalla comunità scientifica.
Dal 2009 al 2017 i sequestri di pangolini sono aumentati del 998%. La Cina, da sola, rappresentava la destinazione del 50,4% dei sequestri effettuati fra 2007 e 2018, segue il Vietnam con il 13,3% e nel 28,9% dei casi la destinazione è rimasta sconosciuta. Per mostrare quanto l’aumento dei traffici di questo animale sia stato trainato dalla crescente domanda di scaglie basta guardare alla natura dei lotti intercettati dalle forze di polizia. Se nel 2008 le scaglie lavorate rappresentavano meno del 5% del totale, con gran parte del mercato concentrato su carne ed esemplari vivi, nel 2018 sono diventate circa il 95%.
In Cina la vendita di pangolini è legale e le loro scaglie possono essere vendute come medicinale, con licenze concesse soprattutto ad aziende operanti nel settore farmaceutico. Prima del 2009 è probabile che l’utilizzo delle loro scaglie fosse già diffuso ma la domanda veniva soddisfatta cacciando l’autoctono pangolino cinese, portato sull’orlo dell’estinzione con la popolazione ridotta circa del 90% dal 2000 al 2020. L’esplosione dei traffici internazionali dovrebbe essere stata dovuta proprio alla sempre maggiore rarità di questa specie, portando la domanda a spostarsi sul pangolino Temminck, proveniente dall’Africa. In Vietnam, invece, la vendita di pangolini è illegale.
I mercati domestici
Il bracconaggio è un fenomeno vario che non si limita alla caccia in vista dei traffici internazionali. Gli animali uccisi illegalmente e venduti nello stesso Paese di origine, ovvero nel cosiddetto mercato domestico, sono molto difficili da tracciare. Questo vale ancora di più per quelli destinati all’autoconsumo. Un esempio lampante di questa dinamica è proprio in Italia, dove è diffusa la caccia di diversi uccelli a rischio estinzione, usati per la preparazione di alcuni piatti tradizionali. Questi vengono consumati dallo stesso cacciatore o venduti a membri della sua comunità, di solito rurale, o di quelle limitrofe, ad un prezzo che va, secondo le stime, dai 3 ai 100 euro per esemplare.
Anche la caccia di pangolini per le scaglie, prima del 2009, è probabile seguisse meccanismi simili, con la differenza che in Cina farlo era legale.
Il bracconaggio dei grandi predatori
Diverse specie a rischio estinzione, in particolare lupi, orsi e grandi felini, sono state e sono soggette al bracconaggio soprattutto perché considerate nocive e pericolose. Sebbene da esse, soprattutto dalle tigri, sia possibile ricavare prodotti richiesti sul mercato nero internazionale, sono uccise soprattutto in quanto viste come una minaccia per il bestiame e la vita delle persone. La pratica delle battute di caccia contro gli animali feroci come forma di difesa è stata per molto tempo comune nelle zone rurali di tutto il mondo. Essa, però, è diventata un problema per l’ecosistema con l’esplosione demografica globale fra IXX e XX secolo ed i progressi tecnologici, che hanno reso molto più facile abbattere grandi animali.
Per le tigri, ed in misura minore per gli altri grandi felini, esiste una consistente domanda nel mercato cinese e del sud-est asiatico, dove le ossa dell’animale sono usate per gli scopi medicinali più diversi, in base alla parte dello scheletro usata. Il numero di tigri, delle diverse specie, nel mondo, tuttavia, è ormai molto limitato per cui il loro mercato è piccolo. Comunque, secondo gli analisti delle Nazioni Unite, i casi di bracconaggio sono spesso finalizzati alla sola uccisione, con i corpi che non vengono raccolti per paura da parte dei responsabili di essere scoperti e subire ripercussioni legali. Tale dinamica, per gli altri grandi predatori, è di gran lunga la più frequente.