La Norvegia, il Paese europeo con la più alta produzione di gas e petrolio, dal 2015 sta incentrando la sua economia sul salmone. Il cambiamento ha trovato la sua origine nel 2015, con il calo degli investimenti nel settore petrolifero del 23% ed il taglio di 30.000 posti di lavoro. Il salvataggio delle esportazioni ha però implicato il deprezzamento della corona norvegese di oltre il 20% nei confronti del dollaro americano. Nonostante ciò il Paese scandinavo ha reagito puntando su un nuovo business, più sostenibile e già di per sé fiorente: la pesca.
Il nuovo “petrolio” norvegese
Dopo oltre 40 anni di predominio assoluto, il petrolio ha ceduto il posto all’allevamento del salmone. Secondo quanto riportato dal portale Mer et Marine, la sola Norvegia nel 2016 ha prodotto il 54% del salmone proveniente dalle acque atlantiche. Sul lato dell’esportazioni si sono registrati numeri importanti, con un totale di 1,1 milioni di tonnellate commerciate, per un valore di 61,3 miliardi di corone (pari a circa 6,5 miliardi di euro). Questo anche grazie all’aumento di valore del salmone negli ultimi anni, che ha raggiunto 31 dollari per un esemplare medio di 4,5 kg, superando il prezzo di un barile di petrolio durante il periodo di contrazione.
L’aumento della domanda
Negli ultimi 10 anni la domanda europea di salmone ha subìto un netto incremento, causando una conseguente lievitazione dei prezzi. Il Norwegian Seafood Council (NSC), ha riportato un guadagno per il Paese nordico di 45,7 miliardi di corone grazie alle 736.000 tonnellate esportate nel 2017. In Italia, dal 2010, la crescita dei profitti del salmone è stata del 257% ma buoni margini di crescita sono stati registrati anche in Polonia, Danimarca e Francia.
Il mercato del pesce
Tra le acque dei fiordi si è registrato un aumento delle aziende di allevamento ittico, con espansioni dimensionali e crescenti fabbisogni di infrastrutture e di navi. Ciò ha condotto ad una rivoluzione nell’industria nautica, con cantieri incentrati sulla costruzione di imbarcazioni per il trasporto del salmone a discapito delle navi da rifornimento per le piattaforme petrolifere.
L’industria del salmone ha visto l’emergere di problematiche derivanti dall’elevata concentrazione di fauna ittica tra le acque stagnanti dei fiordi. Una di queste è stata il propagarsi di un’epidemia di pulci di mare, con un grave impatto economico: un salmone da allevamento su cinque moriva prima della maturità a causa dei parassiti.
Le nuove soluzioni di allevamento
Il problema delle malattie dei salmoni è stato risolto spostando i pesci in mare aperto, consentendo anche la creazione di allevamenti più grandi. Tuttavia, il nuovo habitat ha esposto a potenziali problematiche ecologiche. Gli incroci tra gli esemplari da allevamento e quelli selvatici hanno condotto alla nascita di specie più deboli di salmoni, incapaci di risalire le correnti dei fiumi e, di conseguenza, di riprodursi.
La spinta per un aumento della produttività ha implicato investimenti sulla tecnologia. Tra questi emerge “Ocean Farm 1”. Il progetto consiste in una gabbia lunga centinaia di metri e dal peso di 8 tonnellate, in grado di provvedere all’alimentazione, alla pulizia e allo smaltimento di pesci morti. Il tutto garantito da un sistema automatizzato. Ocean Farm 1, dopo un periodo di sperimentazione in Cina, entrerà in funzione dal prossimo anno, stimando un incremento annuale di 1,6 milioni di salmoni allevati.
La linea della sostenibilità
La Norvegia ha intrapreso un percorso basato sull’allontanamento dai combustibili fossili per puntare sul connubio tra industria ed ambiente. Gli obiettivi di sostenibilità, con scadenza nel 2025 o massimo 2030, basati sulla riduzione delle emissioni trovano un supporto nel business dell’acquacultura.
I grandi numeri
L’impegno nel settore della pesca, con particolare riguardo al mercato del salmone, ha portato la Norvegia ad ottenere risultati rilevanti in ambito mondiale. L’economia rivela un volume di 2.441 milioni di tonnellate di pescato immesse sul mercato, una produzione di allevamento di quasi 4 milioni di tonnellate ed una percentuale dell’1.81% sul totale mondiale. Questi risultati hanno condotto il Paese scandinavo ad essere il quarto maggiore produttore mondiale di pesce, dopo Cina, Indonesia e India.
Il salmone nel fast-food del futuro
A marzo del 2018, il Financial Times ha pubblicato un’indiscrezione sul colosso norvegese del salmone e della trota affumicata, Marine Harvest. La notizia rivela come l’azienda sia intenzionata all’apertura di una catena di fast food con oltre 2.000 punti vendita, per conquistare il mercato cinese.
Le accuse contro i metodi di allevamento
Il boom del salmone si è rivelato anche un boomerang per la reputazione mondiale della Norvegia. Le principali accuse hanno riguardato le modalità di produzione del pesce. Questa è basata su un allevamento di tipo intensivo, caratterizzato dall’uso di molti pesticidi e antibiotici. Il conseguente impatto ambientale risulterebbe, in potenza, devastante in termini di biodiversità ed inquinamento. La reazione della Norvegia è stata repentina, con l’introduzione di norme focalizzate sulla sostenibilità, aumentando la qualità di vita dei pesci ed innovando le modalità di allevamento.