I rapporti tra Italia ed Egitto, fonte di grandi opportunità e investimenti, si sono irrimediabilmente incrinati dopo la tragica vicenda dell’uccisione del giovane ricercatore Giulio Regeni, avvenuta fra gennaio e febbraio del 2016. La vicenda ha influito tanto sul piano politico quanto su quello commerciale. Per colmare questa lacuna, il presidente Abd al-Fattah al-Sisi sta tendendo la mano a nuovi partner strategici.
L’Egitto occupa una posizione geografica strategica, è il principale snodo fra Africa e Medio Oriente, conta novanta milioni di abitanti, è direttamente coinvolto nel conflitto israelo-palestinese ed è un buon alleato dell’Arabia Saudita. Non c’è dubbio che attiri molti investitori e l’Italia ha sempre vantato un rapporto privilegiato: la sua presenza si consolida con più di 130 aziende attive sul territorio, fra cui Edison, con più di due miliardi di investimenti, Banca Intesa San Paolo, che nel 2006 ha comprato Bank of Alessandria per 1,6 miliardi di dollari, Italcementi, Pirelli, Italgen ed altre imprese di servizi, trasporti e turismo (Valtour, Alpitour). Al primo posto tra gli investitori italiani c’è l’Eni, con la scoperta di un nuovo giacimento in una zona di sua concessione nelle acque egiziane del Mediterraneo, Zhor, con riserve stimate di 850 miliardi di metri cubi di gas.
Da 18 mesi a questa parte un’ombra grava sulla nostra presenza in Egitto e sui nostri interessi. In realtà anche dopo l’assassinio di Regeni e la rottura dei rapporti diplomatici le informazioni commerciali rese note dall’ISTAT indicano una fornitura crescente di materiale bellico (ad aprile 2016 l’Egitto ha ricevuto 2.450 kg di armi e munizioni per un valore totale di oltre un milione di euro) ed esportazioni in aumento.
Fra i primi ad aver colto le opportunità di investimento c’è Vladimir Putin, che vanta un rapporto di fiducia e rispetto reciproco con Al-Sisi, anche (e forse soprattutto) in ragione di un comune obiettivo ideologico: quello di respingere l’Occidente. Fra i grandi progetti della Russia c’è la Diga di Assuan, simbolo della cooperazione fra i due paesi, oltre a nuovi investimenti nel settore siderurgico e dei metalli non ferrosi, accordi valutari in rubli per rilanciare il turismo russo in Egitto e la cooperazione tecnico-militare, che non si limita al commercio delle armi ma comprende addestramento del personale e scambio di informazioni. In questo la Russia è riuscita a sostituirsi agli USA, che avevano interrotto la fornitura per aver previsto l’intensificarsi degli scontri armati nel paese, tant’è che Washington non vede più l’Egitto come il principale alleato strategico nella regione.
Anche il Dragone Rosso ha fiutato possibilità di investimenti strategici in Egitto. La Nuova Via della Seta marittima collegherà i porti della Cina a quelli del Mediterraneo. Non si tratta solamente di un ambizioso progetto di investimento: lo scopo è quello di creare collaborazioni e alleanze con cui vuole aprirsi al mondo. Inoltre la Cina ha conquistato larga parte del mercato edilizio egiziano, tanto da riuscire ad aggiudicarsi la costruzione della nuova capitale amministrativa del paese.
Anche la Francia di Hollande si avvicinò all’Egitto nel 2015, in particolare attraverso finanziamenti garantiti dall’Arabia Saudita, per rafforzare la difesa egiziana, ma anche con accordi di tipo commerciale volti ad aumentare gli scambi fra i due paesi in vari settori quali energia, formazione professionale e soprattutto turismo.
Da questo quadro complessivo risulta evidente la strategia di Al-Sisi: a fronte di profondi cambiamenti dell’equilibrio globale anche le relazioni economiche di un paese devono reagire di conseguenza, soprattutto se si vuole risollevare un paese che ha affrontato una profonda crisi.