Il Canada è senza dubbio uno dei Paesi più importanti negli equilibri economici e politici mondiali grazie al suo ruolo primario in organizzazioni come il G7 e il WTO. Tuttavia il suo ruolo di potenza economica è strettamente legato all’export, in particolare di petrolio e veicoli, entrambi in fase di declino. Il petrolio canadese presenta costi di estrazione nettamente più elevati rispetto a quelli della concorrenza, mentre il settore automobilistico ha subito un drastico crollo dalla crisi finanziaria del 2008 e da quel momento non è riuscito più a riprendersi in maniera decisa.
A contribuire alle difficoltà canadesi ci ha pensato il presidente americano Trump con le sue misure protezionistiche volte a favorire il Made in USA e gli investimenti interni. Una delle misure più importanti adottate dall’amministrazione Trump è sicuramente il taglio delle tasse sulle società dal 35% al 21%, al di sotto della media canadese del 26.7%. La suddetta manovra fiscale, abbinata all’incertezza sugli accordi di libero scambio tra i Paesi del Nord America (NAFTA), non fa che incentivare gli investitori a dirottare e mantenere i loro fondi nel circuito statunitense.
Nuovi partner commerciali
Quello che il Governo Trudeau sta cercando di attuare in Canada è una politica commerciale che si svincoli dalla centralità degli Stati Uniti e guardi oltre. Compito assai arduo, dato che l’export canadese rappresenta il 64% del suo PIL e gli USA ne ricevono circa i tre quarti. Potenziali partner potrebbero essere individuati nell’area del Pacifico: lo scorzo 8 marzo è stato siglato un accordo con dieci Paesi tra cui il Giappone e il Vietnam. Al momento sembrano invece più timidi i rapporti con Cina e India.
Altre preoccupazioni che attraggono l’attenzione dei vertici canadesi sono prima di tutto una sostanziale riduzione della forza lavoro dovuta al graduale pensionamento di una parte cospicua della popolazione, rappresentata dai baby boomers, nonché una riduzione delle prospettive di crescita, stimate intorno al 2.2% per quest’anno e all’1.6% il prossimo, rispetto al 3% circa del 2017.
La soluzione
Ed è qui che viene fuori la necessità, fino a questo momento trascurata, di incrementare notevolmente il numero di donne che lavorano. Secondo un’analisi della Royal Bank of Canada, in questo caso il PIL potrebbe crescere anche del 4%. È chiaro che questa strategia non è esente da costi: bisognerà incrementare i servizi di assistenza alle famiglie e gli incentivi e benefici per i figli, nonché garantire maggiori permessi lavorativi ai padri e istituire fondi a favore dell’imprenditoria femminile. Agli occhi del popolo canadese un ulteriore aspetto positivo di questo piano è che si evita l’incremento dell’immigrazione, tenendo invariato il limite di 310.000 persone all’anno.
Tale piano di sviluppo non può prescindere da una forte pianificazione di investimenti volta a sostenere l’espansione delle imprese canadesi fuori dai confini nazionali. L’idea di fondo è che risulta molto difficile per le imprese canadesi accrescere la propria presenza all’estero in settori ormai saturi: per questo motivo circa 950 milioni di dollari canadesi verranno messi a disposizione delle aziende più innovative per supportarne i progetti. I settori al momento più attivi sembrano essere l’automobilistico, l’intelligenza artificiale, la produzione di cibi proteici più sostenibili, il manifatturiero e l’energetico.
Gli investimenti in ricerca e sviluppo
Tramite il programma Innovation Superclusters Initiative (ISI) il Canada ha come obiettivo quello di creare cinque differenti superclusters, ciascuno con una propria specializzazione e prerogativa. Essi rappresenteranno aree connotate da una densa attività di business in modo da creare sinergie tra le diverse forze economiche e sociali, attraendo talenti, tecnologie, investimenti e clienti da tutto il mondo. La svolta del Governatore canadese è evidente se si confronta questo nuovo atteggiamento con i dati relativi agli investimenti del Canada in ricerca e sviluppo degli anni passati: si tratta in media di uno scarso 1,6% del PIL dal 1981 al 2016, contro una media del 2,4% dei 35 Paesi dell’Ocse e del 2,7% degli Usa nello stesso periodo. Il settore tecnologico, secondo gli analisti di CBInsight, è già in grande fermento dato che i fondi di private equity hanno già investito 1,7 miliardi di dollari.
Il Canada si trova ad affrontare sfide tanto ambiziose quanto difficili, ma sicuramente alla portata di uno Stato che fa della sua stabilità politica e finanziaria i suoi punti di forza.
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