La cancellazione del debito pubblico tedesco
Il primo caso di cancellazione del debito di un paese risale all’accordo sui debiti esteri germanici di Londra, ratificato il 24 agosto 1953. I debiti tedeschi ad oggetto erano quelli contratti da governo e privati tra il 1919 e il 1945: l’accordo prevedeva un taglio del debito pari al 50%, da 23 a 11,5 miliardi di dollari (riferiti al periodo di ratifica del trattato), oltre ad una dilazione del pagamento di 30 anni. La riduzione era valida solo nei confronti dei paesi firmatari (tra cui Italia, Spagna e Grecia), infatti, i sovietici pretesero ed ottennero il pagamento integrale dei danni di guerra. La Germania ha terminato di rimborsare il debito, come definito nel 1953, il 3 ottobre del 2010, con un’ultima tranche da 69,9 milioni di euro. Senza l’accordo sui debiti esteri germanici, la Germania avrebbe dovuto rimborsare debiti per altri 50 anni. Ma con quale scopo fu prevista la cancellazione parziale del debito? L’accordo fu pattuito nell’ottica di una riunificazione: nel 1953, la Germania era infatti divisa nelle sezioni Est (sotto il controllo dei sovietici) e Ovest (sotto il controllo degli americani). La clausola della riunificazione permise il congelamento del debito per 37 anni e quando, nel 1990, iniziò il processo di unità nazionale, il debito venne dimezzato permettendo ai tedeschi di gestire un difficile e costoso processo di unione con l’ex Repubblica Democratica Tedesca.
Tornando al 1953, la sottoscrittrice del trattato era la Germania Ovest, la quale richiese ulteriori clausole. Ad esempio, il pagamento sarebbe stato effettuato solo in caso di saldo positivo della bilancia commerciale, ovvero nel caso in cui le esportazioni avessero superato le importazioni; nell’ipotesi contraria di deficit commerciale, invece, non sarebbe stato effettuato nessun pagamento. In concreto, la Germania avrebbe pagato la tranche di debito nell’unico caso di risorse effettivamente disponibili, quindi, senza essere costretta al sottoscrivere nuovi prestiti o a utilizzare le riserve di valuta estera. Tuttavia, occorre precisare che la bilancia commerciale della Germania Ovest fu continuativamente in attivo durante l’interno periodo di rimborso del debito: la clausola limitativa non venne mai applicata.
La crisi greca
Per ironia della sorte le eccedenze commerciali che negli anni passati permisero alla Germania il rimborso del debito, negli anni più recenti hanno contribuito ad aumentare il debito di altri paesi, tra cui la Grecia, attraverso il finanziamento del deficit. Ma esattamente, cosa significa che il saldo positivo della bilancia commerciale tedesca ha contribuito ad aumentare il debito della Grecia?
Ripercorriamo brevemente la crisi greca:
2009: la Grecia annuncia che il suo deficit di bilancio (ovvero, che nell’ultimo esercizio le uscite hanno superato le entrate) sarebbe stato del 12,9% del PIL: quattro volte il valore limite del 3% imposto dal trattato di Maastricht. Come immediata conseguenza, le agenzie di rating Fitch, Moody’s e Standard & Poor hanno declassato il rating della Grecia: abbassando il “voto” precedentemente assegnato, hanno implicitamente comunicato agli investitori (i quali, fino ad allora avevano finanziato lo Stato attraverso l’acquisto di obbligazioni) che il rischio di non rivedere più i soldi prestati si sarebbe potuto concretizzare con una maggiore probabilità.
Ora, voi prestereste mai i vostri soldi a qualcuno potenzialmente insolvente? Se sì, lo fareste ad un tasso più alto o più basso di quanto non fareste con qualcuno ritenuto più affidabile? Sono queste le ragioni per cui in seguito al declassamento, la Grecia ha avuto maggiori difficoltà a trovare qualcuno che la finanziasse. Purtroppo, il finanziamento che ora ricercavano era essenziale al rimborso delle obbligazioni precedentemente emesse: l’indebitamento serviva a pagare altro debito.
2010: Grecia annuncia un pacchetto di austerità per rientrare nel rapporto debito/Pil del 3%, quattro mesi dopo viene comunicato che il default sarà comunque inevitabile.
A questo punto, l’UE e il Fondo monetario internazionale hanno fornito 240 miliardi di euro in fondi di emergenza in cambio di ulteriori misure di austerità che però hanno pesato ulteriormente sull’economia greca, riducendo le entrate fiscali necessarie a ripagare il debito. Da qui ha inizio un circolo vizioso che trascinerà la Grecia in uno sprofondo.
Tutto questo ha permesso al Ministero delle finanze tedesco di incassare 1,3 miliardi di euro dai prestiti elargiti ad Atene e dal suo programma di acquisto di debiti (Fonte: Euractiv). Sempre Euractiv riporta che il sistema di acquisto del debito pubblico attuato dalle banche centrali nazionali della zona euro ha permesso alla Bundesbank (la banca centrale tedesca) di guadagnare 952 milioni di euro tra il 2010 e il 2012.
Il debito dei Paesi più poveri al mondo
Nel 1996, la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale e altri creditori hanno creato il programma Heavily Indebted Poor Country (HIPC) Initiative. L’obiettivo era di dare una garanzia ai paesi più poveri del mondo, affinché non fossero sopraffatti da un debito divenuto ingestibile, nell’ottica più generale di lotta alla povertà. Per accedere al programma è prevista la compatibilità con criteri rigorosi in materia di anticorruzione, soglie del reddito, implementazione di strategie volte alla riduzione della povertà ecc. Fino all’anno scorso, l’HIPC ha alleggerito per 99 miliardi di dollari di debiti i 36 paesi partecipanti, di cui 30 in Africa.
Ad affiancare l’HIPC Initiative c’era, fino al 2015, la Multilateral Debt Relief Initiative (MDRI) nata nel 2005 in seguito al G8 di Londra, quando i ministri della finanza degli 8 paesi più industrializzati annullarono 40 miliardi di dollari di debito dovuti a organismi finanziari internazionali, Banca mondiale, Fondo monetario internazionale e Banca africana di sviluppo. La cancellazione prevista era parziale e i paesi che beneficiarono immediatamente furono: Benin, Bolivia, Burkina Faso, Etiopia, Ghana, Guyana, Honduras, Madagascar, Mali, Mauritania, Mozambico, Nicaragua, Niger, Ruanda, Senegal, Tanzania, Uganda e Zambia. (Fonte: Il Sole 24 Ore)
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