La rotta della BCE
Mario Draghi va avanti come previsto: con la ripresa dell’inflazione nell’Area Euro, non ci sono più molte ragioni per continuare una politica monetaria espansiva come quella portata avanti dalla BCE dal gennaio del 2015. Per il momento non possiamo sapere quando e quanto si ridurrà l’attuale livello di acquisto dei titoli da parte dell’Istituto centrale, ma è sicuro che ciò avverrà molto presto e in maniera graduale, come ha affermato lo stesso governatore. “Solo dopo il termine degli acquisti, verranno rialzati i tassi d’interesse”: un chiarimento forse scontato ma necessario, viste le voci sempre più insistenti degli ultimi giorni che avevano paventato l’aumento del costo del denaro prima della fine del quantitative easing. La politica di massicci acquisti terminerà e l’inflazione nella maggior parte dell’area euro è in robusta ripresa così come il PIL. Ma l’Italia come è messa? Nel Paese del dormiveglia ci accorgiamo come anche quest’anno siamo in fondo alla classifica per quanto riguarda la crescita. Di conseguenza, i principali rapporti che segnano la salute della finanza pubblica (es. deficit/PIL, debito/PIL), continueranno a rappresentare il quadro difficile in cui si trova la nostra economia se il denominatore crescerà solo dell’1% (vedremo) su base annua.
Credit default swap e spread
Tutto questo si riflette ovviamente sui mercati, dove i titoli di debito pubblico italiani già risentono della fine ormai prossima della luna di miele offerta dalla BCE. Il CDS (Credit Default Swap) Italia a 5 anni, dopo aver toccato quota 195 dollari il 22 febbraio, è sceso intorno a quota 160 per il mese di maggio. Questa soglia è ancora troppo alta se consideriamo che, in data 25 maggio, i CDS francesi e tedeschi erano rispettivamente intorno a quota 28 e 16 dollari. Certo, direte voi, Francia e Germania sono ragionevolmente considerati dal mercato tra gli Stati più virtuosi. Ma possiamo dire lo stesso della Spagna? Un’economia che fino a ieri aveva più ombre che luci e che ha ancora un elevato tasso di disoccupazione del 18% ca. (secondo solo alla Grecia)? Ebbene, il CDS spagnolo è sceso a 65 dollari il 5 maggio per poi ritornare a 72 la scorsa settimana. Stesso discorso si può fare per lo spread: il BTP (Buono del Tesoro Poliennale) è superiore a 180 punti, mentre per i BONOS si registrano valori intorno ai 120 punti.
CDS e SPREAD sono indicatori molto importanti: il primo viene considerato al pari di un’assicurazione per i possessori dei titoli contro il fallimento o default dello Stato o società cui si riferiscono (contratto aleatorio); il secondo indica solitamente il differenziale tra i rendimenti dei titoli decennali del debito sovrano di uno Stato e quello di un altro Stato di riferimento (attualmente la Germania). Più sono alti i valori di questi indicatori, più elevato è considerato il rischio.
Spagna virtuosa?
Un ossimoro? Se fossimo ancora nel 2008 diremmo certamente di sì. Sono però ormai quattro anni che i numeri continuano a raccontarci di una Spagna in ripresa e con sempre meno problemi. Madrid ha certamente beneficiato (e forse approfittato) della politica monetaria espansiva voluta da Draghi, così come ha beneficiato dell’ESM (European Stability Mechanism) per rinforzare il proprio sistema bancario. Di primaria importanza è stata l’intesa con la Commissione per rendere i vincoli di bilancio più flessibili e godere di una grande proroga speciale. Inoltre è necessario ricordare che la Spagna ha un costo del lavoro che è tra i più bassi d’Europa, una pressione fiscale sul PIL che, nonostante la crisi, non ha superato il 35% e il total tax rate sui profitti commerciali delle imprese è tornato a scendere al 49% nel 2016 (dato italiano: 62%). Già questi numeri hanno rappresentato un valido incentivo per attrarre capitali stranieri, in aumento del 37% dal 2012. La finanza pubblica ha risentito subito di questa ripresa economica: il PIL nominale cresce a livelli più alti del debito pubblico, di conseguenza il rapporto debito/PIL è sceso al 98,9% dal 100,4% del 2014 e il rapporto deficit/PIL, attualmente al 3,6%, è previsto al 2,2% per il 2018, un obbiettivo davvero ambizioso per le finanze iberiche. Anche per quest’anno si prevede una crescita del PIL superiore al 3%, ma il dato certamente più preoccupante è rappresentato ancora dall’alto tasso di disoccupazione. Tuttavia, anche in questo caso, bisogna prendere atto di un risultato sorprendente: la disoccupazione è calata dal 26% del dicembre 2012 al 18,4% del dicembre del 2016.