In Italia, quando si parla di ricerca e sviluppo emerge spesso un quadro desolante: il nostro Paese, infatti, investe solo l’1,4% del Pil in questo settore (contro una media UE del 2%): si tratta di circa 25 miliardi di euro l’anno (dati 2019). Di questi, approssimativamente un terzo è finanziato dallo Stato: finisce in ricerca e sviluppo l’1,2% della spesa pubblica. Il 20% circa di questa cifra è destinato al settore dell’ambiente e dell’esplorazione spaziale.
L’interesse dell’Italia per lo spazio ha origini piuttosto lontane: il nostro Paese ha infatti iniziato a “puntare al cielo” già nel secondo Dopoguerra, durante gli anni del boom economico. Quello che non molti sanno è che c’è stata un’era in cui l’Italia aveva conquistato una posizione di tutto rispetto nel mondo della ricerca aerospaziale, riuscendo a salire sul podio della corsa allo spazio subito dopo le due superpotenze globali di URSS e USA.
Indice
Il Progetto San Marco
Tutto iniziò nel 1962 con l’avvio del Progetto San Marco, un programma di collaborazione bilaterale tra la NASA e il Centro di Ricerche Aerospaziali (CRA) dell’Università Sapienza di Roma, con il supporto del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e dell’Aeronautica Militare Italiana. Il progetto fu fortemente voluto e avviato dal Prof. Luigi Broglio, che aveva acquisito particolare notorietà ed era stimato negli ambienti della NASA per avere ideato una tecnica di calcolo innovativa (il metodo delle forze bilanciate) che portò ad importanti avanzamenti nella ricerca in campo aeronautico.
I fini
Il programma, come sancito dal memorandum d’intesa firmato a Ginevra nel maggio del 1962, prevedeva una stretta collaborazione, nella quale la NASA avrebbe avviato l’Italia alla ricerca aerospaziale offrendo strumentazione e know-how: l’obiettivo era la costruzione e messa in orbita di otto satelliti denominati San Marco. La NASA avrebbe donato i propri razzi vettori Scout per il lancio, e soprattutto avrebbe trasferito conoscenze tramite l’addestramento di ingegneri e tecnici italiani, seguendo il percorso di sviluppo dalla fase prototipale ai lanci definitivi.
Il primo successo
Il primo successo della collaborazione si ebbe il 15 dicembre 1964 con il lancio del San Marco 1 (o San Marco A) dalla base NASA di Wallops Island, in Virginia: il satellite di prova confermò le capacità acquisite dagli italiani nel campo della progettazione e del lancio di mezzi aerospaziali. Con esso, l’Italia divenne la quinta nazione al mondo, dopo URSS, USA, Gran Bretagna e Canada a mettere in orbita un proprio satellite, e addirittura la terza (subito dopo le due superpotenze) a gestire in autonomia l’intera fase di lancio: sebbene il razzo vettore fosse di costruzione statunitense e fu lanciato da una base USA, le operazioni vennero interamente effettuate da personale italiano.
La piattaforma San Marco
Elemento cruciale del programma fu la costruzione di una base di lancio, inaugurata nel 1966 e costituita da una stazione terrestre nei pressi di Malindi, in Kenya, e da un sito di lancio oceanico situato al largo, la Piattaforma San Marco (una struttura petrolifera autosollevante di ENI riadattata come spazioporto offshore), oltre a due piattaforme di supporto (Santa Rita I e II).
Fu da qui che l’Italia lanciò, negli anni seguenti, altri quattro degli otto satelliti San Marco previsti. In particolare, il San Marco 2 (o San Marco B), lanciato il 26 aprile 1967, fu il primo satellite al mondo partito da una piattaforma oceanica. Con esso, l’Italia poté reclamare un nuovo record, ovvero l’essere la terza nazione al mondo ad aver costruito, operato in autonomia e lanciato un satellite da una propria base.
L’abbandono del progetto
Nonostante i successi riconosciuti a livello internazionale, tuttavia, il progetto si stava avviando verso un lento declino, principalmente dovuto alla perdita di interesse verso questo programma (e di conseguenza, ad una minore allocazione di finanziamenti) a favore di progetti più innovativi e di respiro internazionale.
Le agenzie europee
Una quota sempre maggiore di fondi fu destinata all’ELDO (European Launcher Development Organisation), che era stata fondata nel 1962 da Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi e Regno Unito al fine di competere con USA e URSS in campo spaziale, e all’ESRO (European Space Research Organization), nata nel 1964 con simili finalità e col contributo degli stessi Paesi insieme a Spagna, Svizzera, Svezia e Danimarca. Le attività delle due organizzazioni sarebbero poi confluite gradualmente, nel decennio successivo, sotto il controllo dell’ESA (European Space Agency), ufficialmente istituita nel 1974.
La crisi
Il processo fu aggravato per di più dalla crisi economica che investì l’economia italiana e Occidentale a metà degli anni ’60. La situazione critica portò ad una serie di scelte gestionali che si rivelarono poi strategicamente controproducenti. In particolare, la carenza di fondi spinse il CRA, nel 1969, ad accettare finanziamenti dalla NASA – non previsti nell’accordo iniziale – come rimborso per le spese di lancio di satelliti statunitensi dalla base San Marco (per la prima volta, gli USA affidavano così il lancio di propri mezzi ad una base estera). Il maggiore controllo ottenuto dal CRA, tuttavia, portò alla perdita di interesse verso il progetto da parte del CNR – con la conseguente ulteriore riduzione dei fondi – e soprattutto dei suoi ricercatori, che iniziarono invece a collaborare a stretto contatto con l’ESRO.
Il satellite X-ray Explorer
La situazione critica non impedì comunque l’arrivo di un ulteriore successo, ottenuto il 12 dicembre 1970 con il lancio (sempre per conto della NASA) dalla base San Marco di X-ray Explorer Satellite (SAS-1), comunemente noto col nome di Uhuru. Si trattava del primo satellite interamente dedicato alle osservazioni astronomiche dei raggi X. Esso diede avvio alla ricerca in una branca, quella appunto dell’astronomia X, che da qualche anno stava suscitando l’interesse della comunità scientifica internazionale grazie anche al contributo indispensabile di due astrofisici italiani, Bruno Rossi e Riccardo Giacconi.
Il soprannome Uhuru, che in lingua swahili significa «libertà», fu un omaggio al popolo kenyota, che aveva offerto la propria ospitalità per la costruzione del centro e che proprio il giorno del lancio celebrava i 7 anni di indipendenza dal Regno Unito.
La fine del progetto San Marco
Il successo scientifico e tecnologico della missione non arrestò il declino del progetto: il colpo di grazia fu inferto dalla pesante crisi energetica ed economica che investì l’Europa a seguito della Guerra del Kippur del 1973. L’impatto sulle finanze italiane fu devastante e portò, tra le altre cose, all’imposizione di una vera e propria austerity energetica. Quasi in contemporanea, nel 1972, gli Stati Uniti avviarono il Programma Space Shuttle, perdendo così interesse verso il lancio di satelliti di piccola taglia.
Negli anni i fondi destinati al progetto San Marco si ridussero progressivamente: dapprima i 5,7 miliardi di lire allocati per il triennio 1969-71 dovettero essere spalmati anche nel biennio 1972-73; poi vi fu l’assegnazione di 6,65 miliardi per il triennio successivo (durante il quale avvenne il lancio del SAS-3, l’ultimo dell’epoca), fino ad arrivare ai soli 1,5 miliardi per l’anno 1978.
Negli anni successivi il progetto ricoprì quindi un’importanza sempre minore nel campo della ricerca italiana e nel panorama internazionale, anche a causa della scelta degli stati europei di unire le forze per portare avanti la collaborazione internazionale della neonata ESA.
L’ultimo lancio e l’ASI
L’ultimo lancio dalla Piattaforma San Marco avvenne nel 1988, chiudendo un ciclo ventennale di lanci che non vide nemmeno un fallimento. La base, che oggi si chiama Centro Spaziale Luigi Broglio in onore del suo fondatore e direttore, è tuttavia ancora attiva: dal 2003 è stata affidata all’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), che utilizza la stazione di terra per le operazioni di controllo orbitale e la ricezione di dati telemetrici di satelliti e lanciatori.
Ad oggi l’Italia continua a giocare un ruolo centrale nel settore aerospaziale tramite la collaborazione con l’ESA. Per il triennio 2020-22, l’Agenzia Spaziale Europea potrà fare affidamento su un budget di 14,4 miliardi di euro, di cui 2,282 (il 15,9%) messi a disposizione dall’Italia, terzo paese per fondi versati dopo Germania (3,294 mrd) e Francia (2,664 mrd).
I personaggi chiave
Luigi Broglio (1911-2001), colonnello dell’Aeronautica Militare italiana, ingegnere aeronautico, fondatore e poi preside della Scuola di Ingegneria Aerospaziale dell’Università Sapienza di Roma, nonché direttore della Base di Lancio San Marco di Malindi, rinominata in suo onore Centro spaziale Luigi Broglio.
Bruno Rossi (1905-1993), fisico dei raggi cosmici, docente presso il Massachusetts Institute of Technology, consulente scientifico e presidente del consiglio di amministrazione del’American Science & Engineering (AS&E). Viene considerato il padre dell’astronomia X.
Riccardo Giacconi (1931-2018), astrofisico. Dapprima ricercatore presso l’Università di Princeton, fu chiamato da Rossi all’AS&E. Divenne poi direttore dell’Harvard Smithsonian Center for Astrophysics, professore e ricercatore all’Università Johns Hopkins, e direttore generale dello European Southern Observatory (ESO). Nel 2002 ricevette il Premio Nobel per la Fisica per i suoi «contributi pionieristici all’astrofisica, che hanno condotto alla scoperta di sorgenti cosmiche di raggi X».