Una crisi che richiede una riforma
L’Argentina è sull’orlo dell’ennesima crisi sul suo debito sovrano. L’evento scatenate è stato la pubblicazione del terzo report del Fondo Monetario Internazionale (FMI) sullo stato del programma di aiuti al governo argentino da 59 miliardi di dollari. Gli investitori esteri sono particolarmente sfiduciati perché non ritengono che il governo argentino sarà in grado di rispettare le scadenze sui pagamenti del debito pubblico, considerando che quest’ultimo è aumentato dal 57,1% all’86,3% del PIL in un solo anno. Tale dato ha fatto crollare i corsi dei titoli del debito pubblico argentino, nonostante il governo si sia impegnato ad azzerare il deficit e abbia promesso una riforma strutturale della Banca Centrale. Tale riforma prevede che la banca abbia come principale obiettivo il mantenimento del valore della valuta. La vecchia strategia di finanziare il deficit del governo stampando moneta è incompatibile con questo nuovo obiettivo, di conseguenza, la riforma renderebbe la Banca Centrale argentina molto più simile alla BCE: un grande cambiamento per una delle Banche Centrali che fino ad ora è stata tra le più accomodanti del globo.
Un’economia che genera inflazione
Dando uno sguardo ai fondamentali dell’economia Argentina ci si rende conto di trovarsi davanti un paese con un industria debole, la cui economia è prevalentemente focalizzata sull’esportazione di materie prime e prodotti non lavorati, il cui valore è molto volatile. Inoltre il valore di mercato dei beni esportati è basso, mentre il Paese importa beni di ogni genere. Il saldo delle partite correnti argentino è, di conseguenza, in perenne negativo. Una volta assodato ciò si comincia a comprendere come mai il pesos argentino sia continuamente sotto pressione sui mercati internazionali: la Banca Centrale argentina è costretta a finanziare il saldo negativo delle partite correnti stampando Pesos argentini, questo ha come effetto diretto l’aumento dell’inflazione, cioè la perdita di valore del pesos sui mercati finanziari. Infatti i pesos stampati servono a comprare i beni di importazione pagati in valuta estera acquistata con pesos, la quale finisce per apprezzarsi rispetto alla valuta domestica argentina. A pagare il conto sono i risparmi degli Argentini svalutati dall’inflazione, non è una novità, infatti, che gli argentini preferiscano tenere valuta estera come moneta di risparmio, spesso scegliendo il dollaro.
Il problema del debito in valuta estera
La perdita di valore della moneta, in particolare, ha giocato un ruolo importante in quest’ultima crisi del debito sovrano argentino. La maggior parte del debito contratto dal nuovo governo guidato dal liberale Macri è infatti denominato in dollari: il governo ha piazzato titoli per circa 100 miliardi. La decisione di indebitarsi in dollari è stata dettata da diverse considerazioni, in primis la possibilità di accedere a più mercati utilizzando valuta estera e secondariamente la possibilità di farsi finanziare dai ricchi investitori esteri che altrimenti sarebbero restii a far credito in pesos vista la debolezza della valuta, spesso soggetta a verticali crolli di valore. Il recente crollo del valore della moneta argentina ha fatto rivalutare il debito statale che, crescendo in maniera incontrollata, è passato in un solo anno dal 57,1% del PIL al 86,3%. Infatti, i 2/3 di tale debito sono denominati in valuta estera, prevalentemente dollari.
Manovre eclissate dalla recessione
Considerando la natura dell’economia argentina, che ha recentemente dovuto affrontare un periodo di magra (di conseguenza, mancate esportazioni e afflusso di valuta estera) e considerando la recente rivalutazione del dollaro sui mercati finanziari, non sorprende che il pesos abbia perso quasi metà del proprio valore nell’ultimo anno rispetto al biglietto verde, nonostante la Banca Centrale argentina si sia impegnata a non far crescere la quantità di moneta in circolazione e abbia più volte aumentato i tassi di interesse fino a regolare il costo del denaro al 60%. A seguito di queste manovre monetarie l’Argentina è evidentemente entrata in recessione (2,8% del 2018 e -1,7% previsto per il 2019) e ciò non ha fatto altro che peggiorare le aspettative degli investitori nonostante queste misure siano atte a difendere il valore del pesos a beneficio di loro stessi.
Un errore del governo
Eppure fino al 2014 solo il 10% del debito era denominato il valuta estera. Nonostante deficit del 4-5% annui ed un’inflazione a doppia cifra, il governo populista di Christina Kirchner si era guardato bene dal ricorrere a capitali esteri, e anzi applicava controlli stringenti di capitale. Probabilmente temendo una svalutazione della moneta e un apprezzamento del debito, timori che si sono rivelati reali. E’ con l’insediamento del governo neo-liberista Macri che si registra l’esplosione dell’afflusso di capitali esteri verso il debito pubblico argentino. La fiducia che il nuovo governo possedeva presso i mercati ha spinto gli investitori a scommettere sui titoli argentini, ma non è stato all’altezza delle aspettative e si paventa un nuovo default. Infatti, la sua sconfitta alle primarie ha fatto riemergere negli investitori internazionali la paura di un possibile ritorno a politiche di controllo di capitale e di non rispetto degli obblighi internazionali.