«Il calcio italiano è in crisi»: quante volte si sente ripetere questa affermazione? In genere si fa riferimento ai risultati sportivi, con le squadre della Serie A che arrancano nelle competizioni europee (l’ultima squadra italiana a vincere la Champions League è stata l’Inter nel 2010) e la Nazionale che è rimasta esclusa dall’ultimo mondiale. Un altro aspetto interessante è però quello economico, in particolare la sempre maggiore difficoltà del capitalismo calcistico italiano a sostenere i costi delle squadre di calcio delle varie serie.
La Serie A
Partiamo dalla massima serie, dove gli introiti, soprattutto quelli derivanti dai diritti televisivi, sono più alti, ma dove anche i costi da sostenere per mantenere le squadre sono molto elevati, sia per i trasferimenti dei giocatori che per i loro ingaggi. I grandi industriali italiani se ne tengono sempre più a distanza e non sembrano in grado di sostenere questa onerosa realtà; infatti, la tendenza che si è consolidata negli ultimi anni è quella della vendita delle società calcistiche più importanti a investitori esteri (come del resto sta avvenendo anche per i più rinomati marchi italiani).
Delle famose sette sorelle che dominavano la Serie A negli anni ’80 e ’90, ben quattro sono ora in mano a imprenditori stranieri. Ha dato avvio a questo fenomeno la Roma nel 2011, con la cessione alla cordata statunitense capitanata da Thomas DiBenedetto e James Pallotta; sono seguite, a stretto giro una dell’altra, Inter e Milan e infine, ad inizio giugno di quest’anno, anche la Fiorentina, che è passata dai Della Valle alle mani dell’imprenditore italo-americano Rocco Commisso.
Fin qui, per quanto si possa discutere circa le cause di quanto sta avvenendo, si è trattato di operazioni regolari: le leggi del mercato portano le unità in deficit (i club di Serie A) ad incontrarsi con le unità in surplus (sempre più gli imprenditori esteri, sempre meno quelli italiani). Non sono mancati tuttavia casi di veri e propri atti illegali compiuti tramite le società della massima divisione italiana.
Il caso più emblematico è quello del Parma, che a metà campionato 2014-2015 ha rischiato di non poter più giocare perché sovrastato dai debiti e privo di una proprietà affidabile. Giampietro Manenti, che ne era diventato presidente rilevando la società al prezzo di 1 euro, possedeva una società di consulenza la cui sede era situata presso una casa privata in Slovenia. La pagina finale di questa grottesca vicenda si è avuta con l’arresto di Manenti, il fallimento della società e la conclusione regolare del campionato avvenuta solo grazie al sostegno economico delle altre squadre di Serie A, che hanno pagato le spese di ordinaria amministrazione del Parma, permettendo di concludere la stagione.
Più recenti le vicende che la scorsa estate hanno coinvolto il Chievo Verona e il Cesena. Le due società sono state ritenute colpevoli di aver messo in atto dei trucchi contabili per gonfiare le plusvalenze e far così quadrare i bilanci.
Serie B
Nell’estate 2018 sono falliti Bari e Cesena e l’Avellino non si è iscritto al campionato. Si sono liberati quindi tre posti, ma a fare richiesta di ripescaggio sono state cinque squadre (Catania, Siena, Novara, Pro Vercelli e Ternana). Ad esse si è aggiunta anche la Virtus Entella, che ha presentato ricorso contro il Cesena, club che si era salvato a suo discapito, ma che – come accennato prima – aveva commesso dei gravi illeciti contabili ed era poi andato incontro al fallimento.
Le vicende sono andate avanti quindi su due binari diversi: delle prime cinque Catania, Siena e Novara erano quelle che avevano i requisiti migliori (e nella città siciliana avevano già festeggiato la Serie B). Ternana e Pro Vercelli però hanno presentato ricorso: il Catania e il Novara avevano subito penalizzazioni per illeciti compiuti nei precedenti tre anni e quindi non avrebbero potuto accedere al ripescaggio.
I ricorsi incrociati presentati alla giustizia sportiva e alla giustizia amministrativa hanno bloccato la situazione e a metà agosto, quando ancora dovevano arrivare le sentenze definitive, la Lega B ha forzato la mano decidendo di far partire il campionato con 19 squadre anziché con le 22 regolamentari. Nel frattempo, la Virtus Entella ha vinto il suo ricorso ed è stata ammessa alla Serie B.
Avendo però già esordito in Serie C, la squadra è stata lasciata nel limbo senza un campionato di cui far parte per oltre due mesi e tutte le partite che avrebbe dovuto disputare sono state rimandate a data da destinarsi. Tra sentenze, appelli e ricorsi, le altre cinque squadre hanno dovuto iniziare a giocare. Si è arrivati così a novembre, quando per dare continuità ai rispettivi campionati è stato deciso di lasciare le cose come stavano.
L’aspetto più disarmante è che una vicenda simile si è verificata ancora alla fine di questo campionato. Il Palermo è stato prima retrocesso a tavolino per illeciti simili a quelli del Cesena, poi riammesso. Questo ha costretto la Lega B a far disputare i playout che erano stati cancellati. Il Venezia li ha persi ed è quindi retrocesso, ma nel frattempo il Palermo non si è iscritto al prossimo campionato e andrà probabilmente incontro al fallimento.
Serie C
La terza categoria professionistica del calcio italiano, che dovrebbe ospitare 60 squadre suddivise in tre diversi gironi, è quella che si trova nella situazione peggiore. Ogni anno si verificano almeno tre o quattro fallimenti di società anche prestigiose e ai nastri di partenza raramente si presenta il numero di squadre regolamentare, ma la principale novità degli ultimi anni è che già a metà campionato alcune di esse non sono in grado di arrivare alla fine.
Nel corso del 2019 sono state estromesse due squadre (Pro Piacenza e Matera) già a inizio girone di ritorno; a gennaio i punti di penalizzazione inferti per mancati pagamenti di stipendi e tasse o per fideiussioni irregolari erano 69 e a fine stagione sono arrivati a 118, considerando anche le due squadre radiate. Negli ultimi 10 anni il totale di punti di penalizzazione inferti è stato pari a 550.
Il record di penalizzazione con salvezza quest’anno se lo è aggiudicato la Lucchese, con -23 punti in classifica, società assente, calciatori non stipendiati – che facevano anche da giardinieri e magazzinieri – e trasferte pagate dai tifosi. La squadra toscana si è salvata sul campo, ma non si è iscritta al prossimo campionato ed è andata in fallimento nel corso dell’estate. Insieme ad essa altre quattro squadre che dovevano far parte del campionato di Serie C 2019-2020 ne rimarranno fuori: Albissola, Arzachena, Foggia e Siracusa
Queste vicende fanno passare in secondo piano lo sport e allontanano sempre di più dallo stadio i tifosi, che infatti si riducono ogni anno. Essendo quelli da stadio tra i pochi introiti su cui possono contare le società di Serie C, ciò alimenta un circolo vizioso che non sembra avere via d’uscita.