I due requisiti fondamentali per poter dichiarare fallimento sono quello soggettivo, ovvero l’art. 1 della legge fallimentare, e quello oggettivo, rubricato nell’art. 5 l.f. come “Stato d’insolvenza”. Riguardo chi può dichiarare fallito un imprenditore si fa riferimento a quello che dispone l’art. 6
“Il fallimento è dichiarato su ricorso del debitore, di uno o più creditori o su richiesta del pubblico ministero.”
L’iniziativa del creditore è la più frequente ma questa non è sufficiente a forzare alla bancarotta il debitore, infatti è necessario che il primo ottenga un titolo esecutivo. Per poter ottenere il titolo esecutivo e procedere la condizione è che il mancato pagamento di un debito riceva un riconoscimento in sede giudiziaria, presentando un atto pubblico o delle scritture private che saranno esaminate da un magistrato. Per quanto riguarda il ricorso di fallimento, invece, è un diritto anche del creditore che non possiede alcun titolo esecutivo. In tal caso, però, il creditore ha l’onere di fornire la prova dell’esistenza del credito.
Anche il debitore ha la possibilità di dichiarare fallimmento, uno dei motivi più riccorrenti è la volontà di non aggravare lo stato di insolvenza. A tal proposito, l’art. 14 della legge fallimentare impone a chi vuole riconosciuta l’insolvibilità dei propri debiti, ovvero il fallimento, di depositare presso la cancelleria del tribunale le scritture contabili e fiscali obbligatorie. Inoltre il debitore deve depositare le notizie utili ai fini della valutazione dell’esistenza delle condizioni per la dichiarazione di fallimento.
Anche il pubblico ministero può richiedere che venga dichiarato il fallimento. Ciò può accadere in due casi:
- quando l’insolvenza risulti durante un procedimento penale da eventi significativi come la fuga, la latitanza dell’imprenditore, il trafugamento o la diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dello stesso;
- quando l’insolvenza risulti dalla segnalazione di un giudice che l’abbia segnalata durante un processo civile.
L’ultima riforma ha ridotto il campo di azione dell’iniziativa pubblica per la dichiarazione di fallimento. Se da una parte ha tipizzato le fattispecie che legittimano la richiesta del pubblico ministero, dall’altra ha soppresso dall’art. 6 l’iniziativa d’ufficio, ovvero dello stesso tribunale. Con le leggi in vigore il tribunale:
- non può avviare un procedimento istruttorio in mancanza dei soggetti sopraindicati (creditori, debitori, pubblico ministero);
- può segnalare al pubblico ministero che nel corso di una istruttoria pre-fallimentare, sia stato evidenziato lo stato di insolvenza del debitore;
- su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero può dichiarare il fallimento in collegamento con una procedura di concordato preventivo, qualora vi fossero i presupposti descritti nell’art. 1 e 5 della legge fallimentare.
L’iniziativa avvia un procedimento in camera di consiglio che non ha però natura contenziosa, non sussiste cioè una lite tra ricorrente e debitore, bensì di natura giurisdizionale, ovvero si cerca di valutare l’esistenza delle condizioni per adottare una particolare procedura per la liquidazione del patrimonio del debitore. Il tribunale dispone del potere di raccogliere o sollecitare la prova delle circostanze sulle quali poi verrà presa la decisione, a differenza di quello che accade nel giudizio contenzioso, nel quale l’onere della prova ricade su chi intende trarre vantaggio da un determinato fatto.
È stata introdotta anche la possibilità per il tribunale, su istanza del soggetto che ha assunto l’iniziativa, di disporre provvedimenti atipici di natura cautelare o conservativa tendenti a cautelare il patrimonio del debitore o dell’impresa nella pendenza della fase istruttoria. Se il procedimento non sfocia nella sentenza di fallimento, questi provvedimenti saranno revocati.