Danske Bank, il più grande istituto creditizio della Danimarca, nonché considerato tra le banche europee più affidabili, è stato protagonista del cosiddetto “money laundering” (riciclaggio di denaro). Le vicende illegali si sono svolte presso una filiale estone. Sono stati riciclati soldi per un totale di 1.500 miliardi di corone danesi, pari a circa 200 miliardi di euro.
Danske Bank è presente in 15 Paesi, con 20.000 dipendenti ed una capitalizzazione di oltre 24 miliardi di dollari. La banca ha chiuso il primo semestre del 2018 in positivo, con profitti per 9,1 miliardi di corone danesi, pari a circa 1,2 miliardi di euro.
La vicenda
Lo scandalo riguarda l’arco temporale che va dal 2007, in coincidenza con l’acquisizione della banca finlandese Sampo Bank e della sua filiale estone AS Sampo Bank, al 2015.
L’indagine interna effettuata dall’istituto danese è durata un anno. Questa si concluderà nel 2015, con un report in cui si affermava di non essere in grado di stimare l’effettivo ammontare di denaro riciclato presso la filiale estone. L’analisi, svolta da un organismo indipendente, ha evidenziato un totale di 9,5 milioni di transazioni, per un valore complessivo pari a circa 10 volte il PIL dell’Estonia.
Tensione nel managment
Dopo la pubblicazione del report di 87 pagine sull’indagine interna, commissionato allo studio legale “Bruun & Hjejle”, il CEO di Danske Bank, Thomas Borgen, ha rassegnato le proprie dimissioni. Borgen è stato alla guida della rete estera e, quindi, anche della filiale baltica dal 2009 al 2012, nel pieno del periodo delle irregolarità.
Il CEO dimissionario ha comunque rivendicato l’efficienza del proprio operato, che ha portato il titolo Danske Bank a più che raddoppiare il proprio valore azionario presso la borsa di Copenaghen.
Lo scandalo
Il merito per aver portato alla luce le operazioni di riciclaggio è di un informatore interno, che nel 2014 ha rivelato come alcune transazioni dell’istituto danese fossero sospette. Con il passare degli anni, le ipotesi si sono tramutate in reati di natura penale, sia in Estonia che in Danimarca. Emergeva così il fallimento e l’inadeguatezza della banca nelle attività di controllo e prevenzione. Tuttavia, già nel 2013, alcuni funzionari della filiale estone avevano iniziato ad indagare su alcuni conti, sui quali venivano immessi spesso grandi quantitativi di denaro. Il sospetto generato dalle caratteristiche di tali conti fu tanto da condurli a volare fino a Mosca, per scoprire l’identità che si celava dietro le apparenti organizzazioni. Nonostante i rendimenti positivi, il trapelare degli esiti delle prime indagini ha fatto registrare a Danske Bank una significativa perdita in borsa.
I Clienti sospetti
Tra i 6.200 clienti dichiarati come i maggiori protagonisti delle operazioni di riciclaggio, la magggior parte sono di nazionalità russa. Tra di essi figurerebbero anche alcuni familiari del presidente Vladimir Putin. In particolare, è emerso il nome di Igor Putin, businessman e cugino del presidente russo.
L’indagine nei confronti di Danske Bank è stata avviata anche dal Dipartimento di Giustizia statunitense. Dal lavoro degli americani è emerso come alcuni clienti siano stati aiutati dai dipendenti di Danske Bank, presso la filiale estone, ad aggirare i controlli anti-riciclaggio. Questo per circa nove anni.
Lo scandalo ha visto coinvolte anche 32 valute e compagnie provenienti da Cipro, British Virgin Islands e Seychelles.
Le sanzioni all’istituto danese
Le sanzioni subite da Danske Bank sono state molto alte. Ad esse si aggiungono anche le multe inflitte dalle autorità di vigilanza e controllo.
Una prima ammenda pecuniaria di 775 milioni di euro è stata pagata al gruppo olandese Ing, in seguito al riconoscimento dell’uso criminale dei conti per l’attività di riciclaggio. In futuro, un’ulteriore sanzione potrebbe derivare dagli Stati Uniti. Infatti, il dipartimento di Giustizia americano ha la possibilità di multare le banche straniere per violazioni delle norme anti-riciclaggio. Il Financial Times ipotizza una maxi-sanzione, che potrebbe sfiorare il tetto degli 8 miliardi di dollari.
La reazione dei mercati
L’inchiesta ha avuto anche ripercussioni in ambito finanziario. Sulla borsa di Copenaghen il titolo Danske Bank ha perso, il primo giorno, il 6%, subendo nei successivi ulteriori cali del 3%, con le azioni che hanno raggiunto il valore di 160 corone danesi. Il valore azionario oggi, con il rischio delle sanzioni americane, ha raggiunto il livello più basso da gennaio 2015. Si è registrato un calo complessivo delle azioni del 33% da inizio del 2018.