Sono passati ormai tre mesi da quando Donald Trump, 45esimo presidente degli Stati Uniti d’America, ha annunciato l’imposizione di un diritto doganale del 25% sulle importazioni di acciaio e del 10% sulle importazioni di alluminio provenienti dalla Cina. Le conseguenze di una simile decisione sono l’aumento del costo di produzione dei beni e, inevitabilmente, l’aumento del prezzo finale, che a sua volta causa una restrizione della domanda.
Può sembrare solo una delle tante decisioni piuttosto plateali prese da Trump da quando si trova a capo della Casa Bianca, eppure le mosse intraprese successivamente fanno pensare che in realtà si tratti di un piano strategico. Il 3 aprile il Presidente ha annunciato ulteriori dazi del 25% su altri 50 miliardi in importazioni cinesi per prodotti di elettronica, aerospazio e macchine utensili.
Quello che Trump sta cercando di fare è ostacolare l’ambizioso progetto “Made in China 2025”, con il quale Pechino vuole evitare la trappola del reddito medio, che si verifica quando un’economia non è più così povera da poter garantire manodopera a basso costo (e quindi svolgere il ruolo di fabbrica mondiale) ma allo stesso tempo non è abbastanza sviluppata da competere nel campo delle merci ad alto valore aggiunto.
L’aggressiva politica protezionistica di Trump non ha colpito solo la Cina: verso la fine di maggio sono stati imposti dazi sulle importazioni di alluminio e acciaio provenienti anche da Messico, Canada e Unione Europea (decisione, quest’ultima, che potrebbe costare solo al nostro Paese circa 40 miliardi di euro e lo 0,3% del Pil).
Ragioni e conseguenze dei dazi
«Davvero il presidente Trump non capisce che una guerra commerciale è un evento da cui tutte le parti coinvolte uscirebbero sconfitte, o sta conducendo un brillante gioco strategico?», scrive Raoul Leering, responsabile dell’analisi legata al commercio internazionale per la banca olandese ING.
La partita giocata dal presidente è quella di estorcere condizioni commerciali di favore dalle economie più piccole degli USA in cambio dell’esenzione dal pagamento dei dazi: ad esempio la Corea del Sud ha già firmato un accordo, noto come KORUS, in cui accetta di limitare volontariamente le esportazioni di acciaio, aprendo ulteriormente il proprio mercato alle vetture americane. Se altri paesi seguissero le orme del Paese asiatico, Trump raggiungerebbe l’obiettivo prefissato.
Ma è possibile che Trump non abbia considerato la controffensiva dei suoi ex partner commerciali? La Cina ha già risposto imponendo altrettanti dazi su diversi prodotti americani, fra cui la soia, di centrale importanza: ogni anno gli Stati Uniti scambiano soia con la Cina per un valore complessivo di circa 14 miliardi. Inoltre la scelta di Xi Jinping assume anche un significato politico, dal momento che 8 dei 9 stati americani che producono soia sono roccaforti elettorali di Trump.
Anche l’Unione Europea ha imposto tariffe che colpiscono più di 3 miliardi di dollari di prodotti importati dagli USA, fra i quali bourbon, yacht e motocicli. La decisione della storica società Harley Davidson di spostare circa un terzo della sua produzione fuori dai confini americani è la prima conseguenza di questa guerra commerciale.
L’effetto sull’economia Usa
Pechino nasconde anche un altro asso nella manica. La Cina è ancora il maggior detentore di titoli del debito pubblico americano, che ovviamente acquista per sostenere il dollaro a cui è legato anche lo yuan. Quando però deve mantenere competitivi i suoi prezzi svaluta lo yuan, e quindi anche il dollaro, vendendo i titoli di stato americani. A questo si aggiungono i pericolosi effetti inflazionistici di una politica di estremo protezionismo: se l’offerta di beni che venivano precedentemente importati non viene compensata internamente si rischia di avere troppo denaro per troppi pochi beni; alla perdita di potere d’acquisto del dollaro segue quindi il crollo dei salari e l’aumento dei tassi di interesse.
In conclusione le cose sono due: o Trump è il più abile stratega degli ultimi tempi oppure è soltanto molto incosciente. Solo il tempo saprà dircelo.