Il debito pubblico viene definito come il debito di uno Stato nei confronti di altri soggetti economici, siano questi imprese, banche o Stati esteri. Si sente spesso parlare di riduzione di debito pubblico, ritenuta talvolta elemento essenziale al fine di garantire la solvibilità di un paese, quindi come elemento di garanzia e trasparenza per ottenere più facilente finanziamenti. Ad economie con livelli di debito elevati vengono spesso applicate delle misure di austerity, politiche di limitazione delle spese con lo scopo di ridurre il deficit pubblico.
I limiti delle politiche di austerity, l’esempio del New Deal
Le politiche di austerity hanno sempre attirato particolare avversione, soprattutto da parte degli economisti di stampo keynesiano. Secondo questi studiosi l’aumento del deficit, ed un seguente aumento degli investimenti, sono le misure più ragionevoli ed opportune da attuare per rendere sana l’economia di uno Stato. In effetti abbattere il deficit in poco tempo ha causato, anche a ridosso del secondo conflitto mondiale, effetti collaterali non da poco per l’America del New Deal di Franklin Delano Roosevelt. Nel 1937, la scelta di Roosevelt si tradusse in un netto taglio della spesa pubblica con l’obbiettivo di raggiungere il pareggio di bilancio. Questo causò circa 4 milioni di nuovi disoccupati nell’immediato.
L’esempio del Giappone, quando il deficit funziona
Per tanti economisti che sostengono l’importanza della spesa pubblica nonostante il debito elevato, il caso esemplare è quello del Giappone. Tokyo registra ogni anno di media un rapporto debito/PIL che supera il 200%, senza nessun problema particolare con spread ed inflazione.
La sostenibilità del debito nazionale del sol levante è permessa da due fattori principali: bassa pressione fiscale e crescita continua del PIL pro capite. La bassa pressione fiscale infatti, accompagnata da una costante crescita del PIL, consente ai cittadini di ripagare il debito pubblico senza ricorrere ad inflazione o altre forme di repressione finanziaria.