Per “Debito Pubblico” si intende l’ammontare di passività finanziarie in capo all’amministrazione pubblica. Per comprendere meglio le dinamiche che portano alla creazione di debito bisogna assimilare lo Stato Italiano ad una vera e propria azienda. Le aziende che operano in un sistema economico complesso hanno bisogno di finanziarsi e possono farlo tramite canali bancari o tramite i mercati finanziari. Così come le società, anche lo Stato ha bisogno di finanziamenti per affrontare le innumerevoli spese. Per reperire capitali emette “Titoli di Stato”, ovvero obbligazioni (di cui abbiamo parlato qui) emesse dal governo nazionale (dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in Italia).
Lo Stato, emettendo titoli di debito, si pone come debitore nei confronti degli investitori (famiglie, banche e agenti del mercato) che li sottoscrivono con lo scopo di coprire il fabbisogno monetario di cassa Statale.
Esistono diversi tipi di Titoli di Stato che si differenziano per durata, interessi distribuiti e livello di rischiosità. Le varie tipologie sono:
– Buoni Ordinari del Tesoro (BOT), durano 1 anno e sono senza cedola;
– Buoni del Tesoro Poliennali (BTP), durano 5, 10, 15, 30 anni e presentano una cedola che paga un interesse fisso semestrale;
– Certificati di Credito del Tesoro (CCT), durano 7 anni e presentano una cedola variabile indicizzata ai BOT;
– Certificati del Tesoro Zero-Coupon (CTZ) durano 2 anni e sono senza cedola;
La spesa totale degli interessi corrisposti ai possessori delle obbligazioni statali viene definita “servizio del debito”. Il suo ammontare varia in base al variare del rendimento dei titoli di Stato, mentre il rendimento è direttamente collegato alla rischiosità che gli investitori attribuiscono al Paese emittente del titolo. Lo Stato italiano paga un’enorme mole di interessi: nel 2017 sono stati 47 miliardi di euro, in netta riduzione rispetto al 2016 (circa 66 miliardi di euro) e ancor più rispetto agli anni precedenti (nel 2012 si era arrivati a pagare 84 miliardi di euro). Nonostante l’Italia abbia un avanzo primario (la differenza positiva tra Entrate Pubbliche – Spese Pubbliche, interessi sul debito esclusi) quasi ininterrotto dal 1991, il debito è continuato salire senza freni a causa del Deficit di bilancio causato degli interessi che ogni anno deve pagare ai sottoscrittori dei Titoli di Stato.
Bisogna andare ancora più indietro nel tempo per capire come si sono formati i 2300 miliardi di euro di debito italiano.
ORIGINI DEL DEBITO, IL DIVORZIO TESORO – BANCA D’ITALIA
Il 12 febbraio 1981, il Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta scrive al Governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi la lettera che avvia il cosiddetto “divorzio” tra le due istituzioni. E’ l’evento storico per la politica economica italiana che segna una svolta sul finanziamento del fabbisogno statale e sul collocamento dei titoli di Stato.
Dal 1975 la Banca d’Italia poteva acquistare tutti i titoli di Stato non collocati sul mercato assumendosi così l’onere del finanziamento di una parte di fabbisogno statale. Il “divorzio” spinge l’Italia ad attingere fondi tramite il mercato finanziario a tassi decisamente più alti. I tassi d’interesse crescono in maniera vertiginosa negli anni 80’ e ciò porta a risultati disastrosi; il divorzio, in termini di debito pubblico, costa all’Italia 1000 miliardi di euro in circa 15 anni. È proprio tra gli anni ’80 e ’90 che “nasce” il fardello del debito pubblico italiano, passando dal 57,7% sul Pil nel 1980 al 124,3% nel 1994.
Ci si può chiedere quali furono le ragioni del divorzio. Beniamino Andreatta, 10 anni dopo il famoso divorzio, scrisse una lettera al giornale “Il Sole 24 Ore” spiegando i motivi della decisione. Lo shock petrolifero in corso, i dati non confortanti di politica interna sulla propensione al risparmio, un’inflazione a doppia cifra e i relativi problemi, introducevano l’Italia al rischio di uscita dallo SME (Sistema Monetario Europeo, 1979), sistema che sanciva una quasi parità di cambio tra i Paesi della Comunità Europea. L’elevata inflazione (nel 1980 l’inflazione media fu del 21,14%, nel 1981 del 18,70%) fece sì che la Banca d’Italia avesse uno scarso controllo sulla politica monetaria. L’entrata in vigore dello SME poteva creare complicazioni nel sistema europeo. Pur lavorando con “colleghi ossessionati dall’ideologia della crescita ad ogni costo, con bassi tassi di interesse reale e un cambio debole”, l’idea di Andreatta fu quella di rendere indipendenti gli organismi che si occupavano della creazione di moneta e della determinazione della spesa pubblica in modo tale da rendere la moneta più stabile. Nonostante la contrarietà di molte forze politiche, la lettera che avviò il divorzio venne comunque spedita.
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