Nel 1870 viene inventato il cannone-arpione per cacciare le balene e, da quel momento, viene industrializzata l’attività, comportando un aumento vertiginoso delle catture e di conseguenza avvicinando sempre di più molti tipi di balene verso l’estinzione.
Quest’esempio esplicita come, nella sfera dell’economia, spesso si prescinda dall’ambiente circostante nonostante i disastrosi effetti sulla biosfera in cui si può andare incontro. Per porre rimedio a situazioni simili, economisti sostengono il pensiero della “decrescita economica”; ma di cosa si tratta effettivamente?
Cosa si intende per decrescita?
E’ fondamentale sottolineare, sin dal principio, che con decrescita non si intende recessione e perciò neanche riduzione del prodotto interno lordo. La decrescita è invece un tema economico e sociale che affronta la problematica del funzionamento di un sistema economico-finanziario in cui le risorse naturali e biologiche sono limitate, richiamando l’attenzione su come la crescita economica illimitata non sia sostenibile per l’ecosistema terrestre. Alla luce di una società deliberatamente incentrata alla massimizzazione del consumo e della produzione, economisti e sociologici sostenitori delle decrescita si interrogano sulla possibilità di un’inversione di trend, con l’obiettivo di trovare una situazione di equilibrio tra uomo e natura. I fenomeni del degrado ambientale e dell’esaurimento delle risorse evidenziano la funzione paradossale della natura stessa nel sistema attuale: fattore produttivo in termini di risorse naturali estraibili e, allo stesso tempo, destinazione finale degli scarti e dei rifiuti di produzione.
La decrescita riguarda dunque un completo cambiamento di paradigma culturale, in cui fondamentalmente le attività economiche dovrebbero essere fondate su rapporti armoniosi tra uomo e biosfera. E’ così che le imprese dovrebbero sostenere spese fiscali riguardanti il loro inquinamento, internalizzando in questo modo i costi ambientali che vanno a gravare sulle generazioni future; è così che dovrebbe trasformarsi il sistema dei trasporti in nome di una riduzione sostanziosa delle emissioni di CO2 nell’atmosfera.
E’ lecito tuttavia domandarsi se la decrescita non ci faccia regredire e non ci condanni a insopportabili restrizioni; ma è importante chiarire come la crescita illimitata rappresenti una malattia per il nostro sistema.
La malattia della crescita
La necessità dell’accumulazione illimitata, che si è ormai radicata nel nostro mondo, fa della crescita un circolo vizioso. La capacità di sostenere il lavoro, le pensioni ed il rinnovo della spesa pubblica, presuppone un costante aumento del prodotto interno. Lo stesso utilizzo del credito, il quale impone al debitore un rimborso maggiorato di interessi, richiede una produzione maggiore di quanto si è ricevuto per poter saldare la controparte. Il ‘dover restituire con gli interessi’ implica infatti una crescita teoricamente esponenziale, considerando tutte le attività economiche. Tuttavia lo sviluppo ha dei limiti, i quali sono definiti sia dalle risorse naturali non rinnovabili, sia dalla velocità di rigenerazione della biosfera per le risorse rinnovabili.
In un certo senso l’economia ignora il concetto di entropia, nel senso che non tutte le trasformazioni sono reversibili: è facile e veloce produrre ricchezza sfruttando materie prime, ma nessuna quantità di denaro potrà essere ritrasformata in risorse naturali con tale facilità.
I modelli ed i macro-indicatori economici dovrebbero perciò considerare al loro interno i costi sommersi ed impliciti della nostra economia e le funzioni di produzione dovrebbero incorporare inquinamento e rifiuti, i quali sono a tutti gli effetti prodotto dell’attività economica. Se valutassimo così concretamente le conseguenze delle azioni del nostro sistema economico, il quadro mondiale risulterebbe cambiato. Molti paesi che registrano tassi di crescita positivi, in realtà risulterebbero impoveriti se si considerassero i costi sostenuti per il degrado delle risorse ambientali. Il “World Resources Institute” ha cercato di valutare la riduzione del tasso di crescita delle economie se si valutassero i costi ambientali: la crescita della Cina degli ultimi 30 anni dovrebbe essere aggiustata di 3 punti, mentre il costo del degrado ambientale tedesco dal 1985 ad oggi corrisponde al 6% del PIL del Paese.
Ma a fallire sono anche gli stessi ideali del sistema a cui noi tutti siamo abituati. La crescita non ha onorato la promessa di un aumento generalizzato del benessere: basti pensare che ogni mucca europea gode di una sovvenzione di 2 euro al giorno, ovvero più del guadagno di 2,7 miliardi di esseri umani.
Decrescere, come?
Pensare ad uno “sviluppo sostenibile” non sarebbe sufficiente, in quanto la diminuzione dell’impatto ecologico e dell’inquinamento per ogni singola unità prodotta verrebbe sistematicamente annullata dalla moltiplicazione del numero di merci vendute e consumate. Se infatti si riducesse la quantità di gas a effetto serra emessa da ogni euro o dollaro del 10%, ma si prevedesse un aumento del PIL globale del 20%, l’effetto sarebbe completamente spiazzato.
La necessità ricade perciò su una “ri-localizzazione” dell’economia, in cui la maggior parte dei prodotti essenziali viene prodotta dalle aziende locali: è assurdo pensare che le Alpi siano attraversate da camion francesi che trasportano acqua in Italia, e tir italiani che portano acqua di brand differente in Francia. E’ inoltre importante soffermarsi sul tempo medio di lavoro: economisti sostengono che l’aumento della produttività dovrebbe essere trasformata in riduzione degli orari lavorativi per abbandonare il modello termo industriale. Ciò che invece dovrebbe essere incentivato e motivato, secondo molti, è la produzione dei così detti “beni relazionali”, in grado di incidere sul benessere della popolazione. Per arrivare ad un simile obiettivo ed incentivare un cambiamento di valori, dovremmo passare dalla tassazione sulla pubblicità, che amplifica la cultura del consumo.
In ultima analisi, in un’ottica di decrescita, il mercato ed il profitto non dovrebbero più essere alla base del sistema, ma bensì rappresentare solamente dei forti incentivi per l’attività umana.