«Gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre»
Winston Churchill
Questa citazione descrive efficacemente quanto il calcio sia importante per gli italiani, tanto da venire accostato quasi automaticamente alla propria nazionalità. Tuttavia in Italia il calcio non rappresenta solo sport, intrattenimento e passione, ma anche una delle più importanti industrie, e pertanto la sua salvaguardia e la sua gestione quanto più ottimizzata sono un interesse meritevole di tutela, anche legale, come tratteremo nell’articolo.
Il calcio come industria
Il calcio in Italia, così come in Europa, è uno dei business più rilevanti: nel 2017 è stato il terzo settore economico italiano per investimenti in fusioni ed acquisizione, alle spalle del comparto pubblico e delle istituzioni finanziarie. È infatti stimato che lo sport più seguito dagli italiani determini un contributo alla crescita del PIL superiore allo 0,7% e il valore aggiunto generato per l’economia italiana è superiore ai 18.1 miliardi di euro, inoltre, l’indotto fiscale e previdenziale dell’ultimo decennio è stato superiore a 10 miliardi. L’industria calcio concorre all’aumento dei redditi di famiglie ed imprese, in particolare per un ammontare totale di 22,5 miliardi di euro, garantendo un’occupazione lavorativa (qualificata o non) a quasi 250 mila persone.
Proprio per la sua importanza e la sua tangenza con vari settori della politica economica, il suo sviluppo viene fortemente influenzato, per il meglio o per il peggio, dai provvedimenti di legge che si susseguono nelle varie maggioranze parlamentari. Se da una parte vi sono normative che danno ampio respiro alle casse e alle possibili operazioni dei club, dall’altra alcune leggi risultano essere sfavorevoli per i conti delle società. Per poter capire quanto siano importanti gli interventi legislativi per l’industria calcistica è necessario verificare quali sono le leve in termini di costi e ricavi tramite cui si possono migliorare gli indicatori economici delle società.
Ricavi e costi delle società
Analizzando nel dettaglio il bilancio della prima squadra italiana nei ranking internazionali, la Juventus SPA, emerge che la principale fonte di introiti è rappresentata dai diritti radiotelevisivi e derivanti dai media. In seconda posizione per importanza si attestano i ricavi da sponsorizzazioni e pubblicità. Di fondamentale rilevanza sono gli incassi derivanti dalle gare, ossia i proventi derivanti dalla vendita dei biglietti per partite casalinghe e parte di quelle giocate “fuori casa”. Infine, i ricavi derivanti dai proventi della gestione dei diritti degli sportivi, e in questo caso si fa riferimento al “player trading”. La principale voce di costo, invece, è rappresentata dagli esborsi per il personale tesserato, ossia stipendi e contributi, che rappresenta il 63% dei costi operativi; al secondo posto tra i costi di competenza vi sono gli ammortamenti e le svalutazioni dei calciatori, che ai sensi del bilancio vengono considerati come veri e propri “cespiti” il cui valore è sottoposto a deprezzamento in base alla vita utile. I bilanci delle squadre di club sono in tutto e per tutto assimilabili alle normali società commerciali e come tali sono fortemente influenzati dai provvedimenti governativi che direttamente o indirettamente riescono a facilitarne la gestione o per contro a rendere il tutto più complicato.
Il decreto crescita
Tra i più recenti provvedimenti che hanno dato una forte contributo al miglioramento della qualità e del livello del campionato italiano, vi è sicuramente una norma prevista nel decreto crescita approvato il 30 Aprile e diventato legge il 29 Giugno di quest’anno, e che interesserà però calciatori ed allenatori a partire dal primo gennaio 2020. Lo scopo di tale legge è quello di permette l’approdo in Italia di lavoratori, e dunque risorse umane altamente formate, attraverso notevoli agevolazioni fiscali. È previsto infatti che i redditi di lavoro dipendente o autonomo di coloro che trasferiscono la propria residenza sul suolo italiano concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50% del loro ammontare, il che determina notevoli risparmi fiscali, permettendo infatti di tassare solo una piccola parte del reddito. Tutto ciò è però sottoposto al rispetto di tre requisiti:
• l’essere stati residenti all’estero nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento in Italia;
• l’obbligo di permanenza in Italia per due anni a seguito del trasferimento di residenza;
• lo svolgimento dell’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.
L’impatto di questo provvedimento è duplice; da una parte vi è un risparmio notevole per le società le quali vedono ridursi drasticamente il costo fiscale derivante dagli stipendi dei tesserati che come detto in precedenza rappresentano il 63% dei costi operativi (infatti di norma le società assicurano ingaggi netti facendosi carico delle imposte dei propri sportivi), permettendo quindi di attirare nel campionato i migliori calciatori internazionali, aumentando appeal per gli spettatori (dunque più presenze allo stadio) e maggiori introiti per i diritti televisivi.
Il decreto dignità
Al contrario del decreto crescita, il recente decreto dignità rappresenta un provvedimento che porta notevoli svantaggi sul piano economico per le società. Tale decreto, che è entrato a pieno regime a partire dal 15 Luglio, vieta la pubblicità e sponsorizzazione sul rettangolo verde di ogni tipo di azienda di scommessa sportiva. Nel dettaglio viene specificato che
«È vietata qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro, comunque effettuata e su qualunque mezzo, incluse le manifestazioni sportive, culturali o artistiche»
Se da una parte tale divieto può essere sicuramente uno sforzo legislativo apprezzabile per disincentivare il gioco d’azzardo, che sotto certi profili e in determinati modi può rappresentare una piaga per la popolazione, dall’altra gli effetti economici per le società sportive sono decisamente svantaggiosi.
Questa scelta del Legislatore ha scatenato la reazione unanime da parte degli addetti ai lavori che si sono opposti fortemente, seppur invano, a questa norma. Infatti, su un totale di 20 club, fino allo scorso anno ben quindici hanno stretto rapporti con agenzie di betting.
Un esempio lampante è quello della AS Roma che ha dovuto rinunciare ad introiti pari a 4.5 milioni per una sponsorizzazione di Betway; sull’altra sponda del Tevere, la Lazio ha visto spostare un budget da 4,5 milioni dall’Italia all’estero. Infatti, il 25 giugno 2019 Marathonbet ha annunciato di essere il nuovo Official Betting Partner del Siviglia. L’Italia, dunque, dallo scorso 15 luglio è esclusa da uno dei mercati pubblicitari più floridi del momento. L’impatto per le casse delle società dei vari campionati europei è stato sottolineato dal World Football Report, realizzato da Nielsen Sport, da cui è emerso che dal 2008 al 2017 le aziende di betting hanno investito 633 milioni di dollari per sponsorizzare le divise dei club delle sei principali Leghe europee (Premier League, Serie A, Liga, Ligue 1, Eredivisie e Bundesliga). È necessario dire che la norma è stata modificata a seguito di una richiesta dell’Agcom che ha chiesto ed ottenuto di non aggredire in maniera eccessiva le aziende di betting, in quanto altrimenti sarebbe stato obbligatorio per le televisioni oscurare il nome degli sponsor dai completi da gara delle squadre, nonché i cartelloni pubblicitari delle partite di campionati stranieri.
Dai due provvedimenti in esame appare chiaro come al pari delle altre industrie il calcio è fortemente influenzato dai provvedimenti governativi e come esso debba essere tutelato. Ai più sembrerà di parlare solo di uno sport e che come tale debba essere considerato tra le vicende di secondaria importanza, ma questa è un interpretazione riduttiva dell’intero movimento generato.
È necessario uno sforzo comune tra le parti al fine di importare il modello inglese di calcio in Italia generando miglioramenti infrastrutturali (stadi all’avanguardia, servizi efficienti, sicurezza per le famiglie) ed economici che non siano a vantaggio esclusivo delle società e degli appassionati ma dell’intera comunità.