«Non sono i derivati il problema, è come vengono usati» affermava il premio Nobel per l’economia Robert C. Merton: era il 1995 ed il mercato dei derivati non era di certo sviluppato come oggi, eppure qualcuno già prestava attenzione a questi strumenti finanziari. Si tratta di contratti il cui prezzo è legato al valore di una o più attività, definita “sottostante”. I derivati possono essere scritti su azioni, obbligazioni, indici finanziari, valute, materie prime e tassi d’interesse, oppure si possono avere prodotti più complessi il cui valore dipende da un paniere di attività (qui trovi un articolo di approfondimento).
Negli ultimi vent’anni diverse società, finanziarie e non, hanno riportato enormi perdite a causa dei derivati. Tra i casi più eclatanti si annovera quello di Nick Leeson, il trader che, attraverso operazioni su contratti futures, maturò perdite per un ammontare complessivo di 800 milioni di sterline provocando il fallimento della Barings Bank. Più recente è il caso di Jérôme Kerviel che ha fatto registrare alla propria banca, Société Générale, una perdita di 4,9 miliardi di euro per aver assunto posizioni rischiose su futures.
La diffidenza verso questi strumenti è tale che essi sono ritenuti da alcuni i principali responsabili della crisi finanziaria del 2008. Non si può nascondere che la loro presenza abbia accelerato notevolmente la crisi; infatti soltanto una posizione in derivati può causare perdite così ingenti, per via dell’effetto leva.
Ci si dovrebbe davvero interrogare sulla natura destabilizzante dei derivati? La risposta è negativa: è il cattivo utilizzo di questi prodotti a minare il funzionamento del sistema finanziario. È bene ricordare che, normalmente, i derivati hanno la funzione di copertura e trasferimento del rischio finanziario tra due parti; l’esigenza per cui sono nati, quindi, è quella di garantire una migliore gestione del rischio (ecco il nostro articolo sul risk management). A differenza di quanto si possa pensare, il vero problema non risiede neanche nella speculazione: è l’esposizione a questi strumenti che deve essere contenuta.
Avere una fetta rilevante di derivati nel proprio attivo significa mettere a rischio l’equilibrio della società e ciò potrebbe avere ripercussioni sull’intero sistema finanziario.
A tal proposito, oggi qual è la situazione delle Banche europee?
Il rapporto Risk Outlook stilato dalla Consob, i cui risultati sono sintetizzati nella figura qui sotto, mostra la tendenza delle banche del Nord Europa ad assumere posizioni più rischiose rispetto a quelle del Sud.
Questo divario si accentua se si guarda esclusivamente al valore dell’esposizione in derivati (il grafico a destra nella stessa immagine).
Ciò è confermato dall’analisi effettuata dall’Ufficio Studi della CGIA di Mestre, condotta sulla base dei dati forniti dall’Autorità Bancaria Europea (EBA) relativi a marzo del 2016 (nella tabella che segue). Le rilevazioni riguardano un campione di circa 150 Banche europee, almeno tre per ogni Paese, con un numero crescente a seconda della dimensione degli stati.
Come si può vedere, le banche maggiormente esposte sono quelle del Nord Europa. In particolare, il peso dei derivati sul totale delle attività è pari almeno al 20% per le banche finlandesi, tedesche e del Regno Unito; l’Italia ricopre l’undicesima posizione con un’incidenza sul bilancio soltanto del 5,3%.
Questi dati sono condizionati dalle differenze presenti nei sistemi bancari: ad esempio le Banche italiane rispetto a quelle del Nord Europa sono più orientate verso il settore creditizio. Non a caso, la quota dei prestiti bancari italiani è del 67,8% dell’attivo, superiore alla media dell’Unione Europea (64,3%) e a quella dei Paesi sopra citati.
Osservando la tabella emerge un altro aspetto significativo, comune a tutte le Banche dell’Unione Europea. Nel 2016 si è assistito ad una riduzione del peso dei derivati, dal 15,2% al 12,9%, proprio per garantire una maggiore solidità ai bilanci bancari. Un esempio in tal senso è offerto dalla Deutsche Bank che negli ultimi tempi ha venduto molti di questi titoli e detiene un residuo di soli 5,8 miliardi di dollari, dopo aver accumulato un’esposizione per oltre 50 mila miliardi.
Dunque, è fondamentale comprendere che i derivati sono strumenti dotati di grande potenzialità ma possono essere anche fonte di instabilità: il problema è «come vengono usati». È necessario che le Autorità di Vigilanza monitorino costantemente l’esposizione su derivati dei grandi istituti finanziari che spesso non ne valutano adeguatamente i rischi.