Dal 2007 a questa parte, i contratti derivati sono entrati nel vocabolario di uso comune come origine di ogni male. Un contratto derivato viene definito dalla borsa italiana come uno strumento finanziario il cui valore deriva dal valore di un’altra attività finanziaria o reale (attività sottostante). Il fine originario degli strumenti derivati era quello di coprirsi dal rischio sull’attività sottostante. Oggi, oltre al fine di hedging, vengono utilizzati per eseguire operazioni di speculazione e arbitraggio.
Molte attività economiche, come ad esempio quelle agricole, alberghiere o energetiche, sono esposte al fattore di rischio climatico. Fino a pochi anni fa i profitti e le perdite di molte aziende sembravano dipendere, almeno parzialmente, dalle condizioni meteorologiche. Un’azienda attenta ad ogni rischio possibile legato ai propri affari oggi ha la possibilità di ridurre i rischi derivanti da eventi climatici attraverso i derivati sul clima, meglio noti come Weather Derivatives. Se, ad esempio, la temperatura media del periodo è maggiore/minore di una soglia prestabilita (strike price), l’acquirente ha il diritto di ricevere un pagamento dalla controparte in proporzione al differenziale tra la temperatura di soglia e la temperatura effettiva. Questo contratto può essere stipulato sui centimetri di neve, sui millimetri pioggia, sulla percentuale di umidità e, come appena detto, sulla temperatura (in gradi Celsius o Fahrenheit). La misurazione deve avvenire nel modo più oggettivo possibile, per questo motivo in molti casi viene affidata agli enti nazionali indipendenti (il parametro di riferimento viene deciso al momento della stipula del contratto).
Questi contratti sono molto simili agli accordi assicurativi, anche se definirli tali sarebbe un errore: proteggono la controparte dal rischio di un clima sfavorevole a seconda dell’attività svolta ma non rispondono dei cosiddetti “cat risk” o rischi catastrofici (per coprire i quali esistono le assicurazioni vere e proprie). È sufficiente pensare ad un albergo situato in una zona sciistica: in caso di assenza di neve durante l’alta stagione, senza questo tipo di contratto i profitti sarebbero molto bassi. Gli organizzatori dell’Oktoberfest dal 2012 hanno iniziato a utilizzare questi strumenti per proteggersi dal rischio del maltempo e quindi salvaguardare in qualche modo i profitti.
Il merito dell’invenzione di questi strumenti è attribuibile alla Enron Corporation che nel 1997 stipulò il primo contratto atmosferico; due anni più tardi venne fondato il primo mercato regolamentato, il Chicago Mercantile Exchange.
Per vederli in Italia bisogna aspettare il 2003, quando la Banca di Sondrio stipulò un contratto con la Fonte Tavinia, produttrice di acque minerali, concordando un indennizzo nel caso in cui la temperatura media della stagione non avesse raggiunto i 28,5 gradi. Fortunatamente per la Fonte Tavinia non ci fu bisogno di avvalersi di questo contratto, perché le temperature in quella stagione superarono di gran lunga la media prestabilita. Questo derivato non si è diffuso molto nel nostro Paese a causa di premi troppo elevati e dei volumi troppo bassi per i singoli agricoltori. Molte delle aziende vinicole che hanno provato a utilizzarli per coprirsi dai rischi non avevano volumi abbastanza grandi per poterli stipulare. Finora è stato questo il grosso limite dei Weather Derivatives in un Paese caratterizzato dal nanismo delle imprese.
Il mercato dei derivati sul clima può essere quantificato in circa 20 miliardi di euro, con la maggior diffusione negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Secondo molti economisti, il 70% delle aziende americane è esposto al rischio climatico, non è quindi difficile intravedere le potenzialità espansive molto ampie di questo mercato. Molte banche d’affari stanno assumendo e costruendo team per lavorare sul tema climatico, questione sempre più al centro di dibattiti politico-economico-istituzionali.