Secondo l’economista americano Daron Acemoglu, il successo economico di una nazione dipende soprattutto dal tipo di istituzioni politiche al suo interno.
Come le istituzioni politiche influenzano l’economia di un Paese
Le istituzioni politiche e la forma di stato e di governo, secondo Acemoglu, influiscono più di ogni altra cosa sull’economia. Il fulcro del ragionamento è che sia la politica a determinare l’economia. Se le istituzioni politiche sono aperte, democratiche ed inclusive, le istituzioni economiche rifletteranno queste qualità. Quindi, una nazione beneficerà della crescita economica. Se le istituzioni politiche tendono, invece, all’oligarchia, all’esclusione ed all’autoritarismo, le istituzioni economiche non incentiveranno una sana crescita economica. La differenza chiave è tra istituzioni inclusive ed istituzioni estrattive.
Le istituzioni inclusive
Le istituzioni inclusive promuovono l’attività economica, la crescita della produttività, la prosperità materiale, la libertà negli scambi e nella stipulazione di contratti. Queste operano tramite una legislazione che si fa carico di più istanze provenienti dalla società, garantendo gli accordi ed il diritto di proprietà. Infine, la caratteristica fondamentale è l’incentivo all’innovazione, vera pietra angolare della crescita economica.
Le istituzioni estrattive
Le istituzioni estrattive sono caratterizzate da istituzioni politiche oligarchiche. Esse puntano ad “estrarre” ricchezza dalla società per appropriarsene, senza incentivare l’innovazione ed addirittura osteggiandola. Il cambiamento promosso dalla crescita economica fa capo al concetto di “distruzione creatrice”. E’ questo il caso della rivoluzione industriale che, promuovendo un nuovo modo per produrre, mise in crisi vari altri mestieri. Se nell’800 immense entità geopolitiche come l’impero russo zarista e l’impero austro-ungarico persero il treno dell’industrializzazione fu proprio a causa della natura estrattiva delle loro istituzioni politiche.
Perché la rivoluzione industriale fu sperimentata per la prima volta in Inghilterra?
L’Inghilterra è il caso storico più rilevante dell’influenza delle istituzioni politiche su quelle economiche. I tre maggiori Paesi europei, Inghilterra, Francia e Spagna, nel XVI secolo avevano tutti un’assemblea nazionale di cittadini che si poteva confrontare liberamente con il sovrano. Solo il Parlamento inglese, però, aveva davvero voce in capitolo per quanto riguardava le imposte. La crescente importanza attribuita alla gestione del commercio estero, però, spinse il re Giacomo I a rafforzare i monopoli, concedendoli a persone a lui vicine.
Le politiche estrattive condotte da Giacomo I fecero crescere il malumore in seno al Parlamento inglese, creando risentimento in tutto il Paese. Nel 1640, di fronte alla possibilità di una guerra con la Scozia, il nuovo re Carlo I fu costretto a convocare il Parlamento. Era necessario chiedere l’approvazione di tasse che potessero finanziare la guerra. I parlamentari, tuttavia, sollevarono altre questioni che mettevano in discussione i privilegi della corona e della nobiltà. Era l’inizio della “Glorious Revolution”.
La rivoluzione inglese si concluse con l’intervento di Guglielmo D’Orange in Inghilterra. Il nuovo governo di D’Orange portò un rafforzamento della centralizzazione legata al pluralismo sociale ed all’instaurazione di istituti politici più inclusivi. Ad esempio gli investimenti in canali e strade decollarono dopo il 1688 (anno della Glorious Revolution) grazie ai progressi nella tutela della proprietà. Riducendo i costi di trasporto si gettarono le basi della rivoluzione industriale. Quest’ultima si fonderà sui diritti di proprietà e sullo smantellamento dei monopoli. Tutti elementi imposti dagli effetti della rivoluzione inglese, con l’affermarsi di istituzioni politiche sempre più inclusive.