Lo sviluppo della moneta
Per i primi 500 anni che seguirono la fondazione della città di Roma, avvenuta nel 753 a.C., il commercio fu basato semplicemente sul baratto. In pieno periodo repubblicano (tra il 509 a.C. e il 27 d.C.), per esattezza nel III secolo a.C., fu introdotto il primo sistema monetario: prevedeva l’utilizzo di scarti della lavorazione del bronzo e del rame il cui valore unitario era pari ad un capo di bestiame, nello specifico una pecora o un bue. È infatti proprio dal termine pecus, pecora, che traggono origine termini come pecunia, denaro, patrimonio, guadagno. Successivamente, ma comunque nello stesso periodo storico, alle scorie informi utilizzate agli albori vennero sostituite monete esteticamente più elaborate, complici le capacità artistiche greche che permisero la diffusione di una moneta ben lavorata e, poco più tardi, la comparsa delle prime monete in argento e oro che, da lì a poco, anche Roma iniziò a produrre e ad affiancare a quelle in bronzo.
Dall’economia di sussistenza ai primi banchieri
Ancor prima della fondazione di Roma, l’economia dei popoli dell’Italia centrale era basata sui prodotti della pastorizia e dell’agricoltura per garantire il sostentamento e la sopravvivenza della popolazione, in gergo diremmo che si trattava di un’ “economia di sussistenza”. Lo scenario restò pressoché immutato fino agli albori del periodo repubblicano, quando il commercio superò i soli fini di sopravvivenza, diventando una parte concreta dell’economia della città. Le preferenze di commercio sono ricollegabili alla classe sociale più ricca dell’epoca: i patrizi, otre che senatori anche grandi proprietari fondiari. In questo senso, si assisterà ad un cambiamento solo in tarda età repubblicana con l’affermarsi di una nuova classe sociale: gli equites, plebei sufficientemente ricchi da permettersi un cavallo da guerra e che, conclusesi le guerre puniche, abbandonarono la guerra per dedicarsi al commercio. Nel medesimo periodo storico, in coincidenza con le guerre puniche (264 a.C. – 146 a.C.), apparvero i primi banchieri: gli argentarii. Essi si occupavano di attività semplici come la gestione di operazioni bancarie e creditizie (accettazione di depositi con interesse, concessione di prestiti con garanzia, …) o di cambio della moneta, ma anche di vera e propria speculazione finanziaria; operavano in veste di lavoratori privati nelle “tabernae” del foro, in negozi o in banchi statali.
Le prime corporazioni e la definizione del sistema finanziario
In epoca alto imperiale (23 a.C. – 284 d.C.), sotto l’impero di Augusto, lo stato rafforzò il suo potere sul sistema finanziario e, di tutta risposta, gli argentarii si riunirono nel “collegium argentariorum”, una corporazione avente lo scopo di difendere gli interessi della categoria: furono così elargite le prime norme che regolavano l’accesso e l’esercizio della professione.
Come per i banchieri moderni anche per chi operava 2218 anni fa la contabilità era essenziale:
- nell “adversaria” venivano annotate le operazioni quotidiane;
- nel “codex rationum” erano segnate entrate e uscite;
- il “codex accepti et expensi” era il registro dei negozi giuridici;
- il “calendarium” riportava la cronologia delle somme prestate e le scadenze di quota capitali e quota interessi.
Nello stesso settore degli argentarii operavano, anche se in misura nettamente minore, i pubblicani e i negotiatores. I primi gestivano la riscossione di imposte e rendite statali, inoltre si occupavano della costruzione delle strade e delle forniture per l’esercito. I negotiatores, invece, erano mercanti che smerciavano “all’ingrosso” tra province.
L’insuccesso della finanza in epoca romana
Analizzando la composizione della società romana pare evidente la divisione del tessuto stesso in caste. In cima siedono i patrizi, ricchi e facoltosi di famiglia, essenzialmente senatori e grandi proprietari terrieri: ecco i primi due problemi. Chi di fatto aveva i soldi non li investiva nella finanza, in parte perché per legge gli era proibito, in parte perché la finanza stessa non era sufficientemente articolata e sviluppata rispetto ad altre forme di investimento. Infatti, i senatori non potevano esercitare alcuna attività commerciale, tanto meno attività finanziare o speculative (come ad esempio la cessione di un mutuo con maturazione di interessi), e quei pochi proprietari terrieri che non politicavano, come ad esempio gli equites, preferivano gli investimenti di tipo agrario. Analogo ma in senso diametralmente opposto era la situazione dei liberti, gli schiavi liberati, i quali non potevano ambire, diversamente dai cittadini liberi, al ceto superiore. Anche se i romani forse non hanno dato un contributo decisivo allo sviluppo del sistema finanziario è a loro che dobbiamo sicuramente, tra le molte cose, la sistemazione giuridica che tuttora hanno vari istituti, come ad esempio il mutuo e molte altre obbligazioni connesse all’attività bancaria.