Perché esistono le scienze economiche? Lo scopo ultimo dell’economia è da sempre la massimizzazione del benessere della collettività; questo significa che le scienze economiche si occupano in fin dei conti di rendere la vita delle persone migliore.
Sin dai primi studi in campo economico, la felicità degli individui è stata associata strettamente ad un aumento della loro ricchezza; ciò significherebbe che maggiore denaro possediamo e più saremo soddisfatti della nostra vita. In effetti il più usato indicatore di benessere di una nazione è il PIL e, inoltre, variabili economiche come reddito e consumo sono le principali colonne su cui si basano i modelli Marco e Micro utilizzati dai policy maker.
Tuttavia, negli ultimi anni, la possibilità di misurare in modo affidabile la felicità delle persone ha alimentato un intenso dibattito: veramente la ricchezza ha un peso così preponderante sul benessere delle persone?
Cosa ci rende felici?
Che cos’è che conta maggiormente per la nostra felicità? Il paradosso di Easterlin (1974) evidenzia come la felicità delle persone, raggiunto uno stile di vita medio, dipenda molto poco dalle variazioni di reddito e ricchezza, ma sia bensì legata ad altri fattori.
Gli Stati Uniti d’America rappresentano un esempio lampante di questo paradosso.
Come si evince dal grafico, la promessa fatta dall’economia secondo cui diventando tutti più ricchi saremmo più felici, non è stata mantenuta. É vero che i fattori economici contino molto per la felicità, ma non nel senso che la tradizione prevalente del pensiero economico si aspetterebbe: l’aspetto economico conta poiché determina la dimensione relazionale in cui gli individui vivono. Ciò che ha più importanza per la felicità secondo Stefano Bartolini, professore di Economia politica ed Economia sociale presso l’Università di Siena, sono le relazioni con gli altri, che il sistema economico è in grado di plasmare fortemente.
Un ruolo importante è appunto quello che hanno i paragoni sociali. Spesso confrontiamo il nostro stile di vita con quello degli altri: ci sentiamo bene quando percepiamo di essere accettati in un gruppo. In una situazione in cui i paragoni sociali sono importanti, la crescita economica tende a non aumentare il benessere dato che essa promette un aumento generale dei redditi, e ciò che conta al limite per le persone è la ricchezza relativa che rimane immutata. Perciò considerare il nostro benessere dipendente esclusivamente da fattori economici è sicuramente un errore.
La sostituzione delle motivazioni
È chiaro che l’Uomo non agisce sempre per fini prettamente materiali ed economici, ma vi sono azioni che nascono da motivazioni intrinseche, come il senso di solidarietà o responsabilità. Il sistema economico tende però ad incentrare tutto sul denaro, introducendo ad esempio incentivi e sanzioni pecuniarie all’interno della società: questo porta ad una “sostituzione delle motivazioni”, e spesso non ad un risultato positivo come gli economisti mainstream si aspetterebbero.
Un esempio riguarda gli effetti dell’introduzione di multe a carico dei genitori che prelevano i loro figli in ritardo dagli asili. Le multe infatti accrescono, e non diminuiscono, il numero dei ritardi: l’inserire un fattore monetario, infatti, cambia le motivazioni dell’azione. Andare a prendere i figli per senso di responsabilità verso le maestre, costrette ad aspettare i genitori ritardatari, è diverso dal farlo per soldi; e le persone non sommano i “perchè” delle loro azioni. Perciò il motivo principale per il quale arrivare in orario diviene quello di “evitare una piccola sanzione”; motivazione assai meno incisiva di quella suscitata da un rispetto morale nei confronti degli insegnanti.
Misurare la felicità
É immediato interrogarsi sul come possa essere possibile effettuare misurazioni su una variabile così immateriale come la felicità. Le misure della felicità si dividono in misurazioni oggettive e soggettive a seconda del metodo con cui si inferisce sulla felicità delle persone. Le prime si basano su indicatori della qualità della vita, perciò si utilizzano indici che rappresentino fattori influenzati il benessere delle persone in un determinato luogo. Ciò che è più rilevante è una larga presenza di indici che si distaccano dalla misurazione della mera ricchezza: essi sono l’indice di partecipazione al lavoro, l’indice di disuguaglianza, indice di uscita precoce dal sistema di educazione, indice di sovrappeso, indice di criminalità e di efficienza della giustizia. Tali indici raccontano lo stato di inclusione delle persone in una determinata zona considerando che, in generale, più ci si sente inclusi in un sistema sociale e più probabilmente saremo soggetti a provare emozioni positive.
Le misurazioni di tipo soggettivo, invece, riguardano il benessere percepito direttamente dagli individui: si utilizzano sondaggi su larga scala chiedendo alle persone qual è il loro stato d’animo relativamente ad un certo contesto. La domanda che con più frequenza viene posta è la seguente: quanto sei soddisfatto in una scala da 1 a 10 della tua vita sin ora? Se ci soffermiamo un attimo, non è difficile arrivare a pensare che misurazioni così fatte potrebbero presentare errori di stima. Potremmo infatti chiederci: quante persone in effetti rispondono sinceramente? Quanto la risposta dell’intervistato è stata influenzata da ciò che gli è accaduto la scorsa settimana? Perciò non possiamo pensare che tali metodi spieghino alla perfezione ciò che si verifica nella realtà, ma possiamo essere sicuri che il PIL si allontana in maggior misura dal vero; esso trascura infatti ciò che non passa dal mercato, le relazioni.
L’inventore del concetto di PIL, Simon Kuznets ha affermato che “il benessere di una nazione può a malapena essere desunto dal suo reddito nazionale”. Il reddito aggregato è infatti così tanto utilizzato come proxy di benessere poiché è di facile misurazione.
Il PIL è inoltre altamente preciso ma, come auspicava J.M.Keynes, è preferibile trovarsi approssimativamente nel giusto piuttosto che precisamente nel torto.