Nella Russia post-sovietica interi settori dell’economia, in particolare le risorse energetiche, hanno visto il dominio quasi assoluto degli oligarchi. Questi imprenditori, negli anni ’90, avevano il controllo di buona parte dell’apparato economico della Federazione Russa. Il loro potere risale a prima della caduta del muro di Berlino, grazie alla forte vicinanza che avevano con membri del Partito Comunista dell’Unione Sovietica.
Il crollo dell’Unione Sovietica
Il crollo dell’URSS obbligò il governo di Mosca ad attuare un processo di privatizzazione delle maggiori aziende statali, togliendo potere alle male organizzate istituzioni della Russia post-sovietica. La presidenza di Boris Eltsin fu il periodo in cui diversi oligarchi iniziarono ad influenzare sempre più le politiche governative, garantendosi enormi profitti. Agli inizi degli anni 2000, quando divenne Presidente un allora quasi sconosciuto Vladimir Putin, il potere politico degli oligarchi era ormai consolidato. Il nuovo Presidente iniziò ad attuare una campagna volta a ridimensionare la loro influenza sul governo russo.
In breve tempo moltissimi oligarchi decisero di sottomettersi alla nuova amministrazione del Cremlino. Putin garantì protezione e carta bianca su alcuni loro affari economici, chiedendo in cambio di non opporsi alla sua agenda. Inoltre, riprese il controllo di diverse aziende statali, nazionalizzandole.
Gli oppositori
A capo dei conglomerati come la Gazprom e le aziende del complesso militar-industriale furono posizionate personalità vicine a Putin. Per chi provò ad opporsi al nuovo Presidente ci furono importanti rappresaglie. Ad esempio la società Petrolifera Yukos ed il suo capo, il magnate Michail Chodorkovskij, nei primi anni dell’era putiniana, si opposero alle politiche di Vladimir Putin finendo nella “lista nera” del governo russo. In poco tempo, venne preso di mira dalle autorità russe e la sua azienda fu rilevata da Mosca. Chodorkovskij è stato costretto a fuggire all’estero.
Gli oligarchi di Putin
Putin decise di costituire un suo gruppo di potenti oligarchi, da piazzare nelle aziende statali, come Aleksej Miller della Gazprom ed il capo della Rostekhnologii, azienda statale del complesso militar-industriale per gli armamenti, Sergej Cemezov. Ad oggi il grosso degli oligarchi russi obbedisce senza mai discutere alle regole imposte dal Cremlino, necessario per poter operare in libertà nel Paese.
La tassa sugli oligarchi
La crisi del Covid-19 ha costretto il Cremlino ad attuare misure fiscali dure, ma necessarie per tentare di fermare una possibile crisi socio-economica. In questo scenario la presidenza russa ha deciso di imporre una pesante tassa sulle rendite finanziarie e sui capitali all’estero. Infatti ogni ricco della Russia, soprattutto gli oligarchi, dovrà pagare una tassa del 15% sui guadagni spediti fuori dalla Federazione Russa sotto forma di dividendi. In aggiunta ci sarà un ulteriore tassazione del 13% sugli interessi dei conti bancari e sugli investimenti che superano la cifra di un milione di rubli (11.600 euro).