L’economic forecasting è una delle tecniche più complesse che la disciplina economica si occupa di studiare. Il processo, come del resto si intuisce dal nome, consiste nel prevedere le condizioni future di determinate variabili economiche, le quali possono essere ad esempio i tassi d’interesse, l’inflazione, il PIL, ma anche prezzi azionari e stock returns. Questa disciplina si applica in svariati campi economici e viene utilizzata in settori differenti, tra cui organismi centrali, dunque attività di policy making, ma anche hedge fund, banche commerciali o semplici aziende.
Nell’ambito della macroeconomia è immediato pensare al forecast praticato dalle banche centrali per prevedere la crescita del prodotto interno lordo e fissare i tassi di interesse. In questo contesto vengono utilizzate come punto di partenza le teorie economiche (forecast di PIL e tasso di inflazione sono connessi alla curva di Phillips, ad esempio) da confermare con i dati raccolti e dunque con rilevazioni empiriche. Per quanto riguarda l’ambito finanziario il forecast viene praticato principalmente nelle operazioni di portfolio allocation, dove compagnie di investimento si focalizzano sulla previsione del ritorno medio degli asset investiti, considerando il loro grado di rischio. È importante comunque tenere presente che questa disciplina non si applica soltanto a livello macroeconomico o finanziario: basti pensare alle scelte delle aziende in merito a quanto investire o al livello di debito/equity, tutte variabili che si basano sulla previsione dei flussi di cassa di investimenti potenziali.
Le tipologie di economic forecasting quindi sono molteplici: all’interno di questo articolo verranno principalmente spiegate quelle legate al policy making, dunque rilevanti per l’ambito macroeconomico, dove si considerano le serie storiche delle variabili economiche. Quando si parla di serie storica basti pensare ad un asse cartesiano dove sulle x c’è il tempo e sulle y il valore che la variabile può assumere. Tutti i financial chart possono essere considerati delle serie storiche.
Il forecasting si rivela un processo tutt’altro che semplice. Anzitutto bisogna comprendere che i primi errori che si possono commettere sono quelli discrezionali, dunque dell’operatore che deve scegliere quali variabili includere nel proprio modello. Ad esempio, si può pensare alle banche centrali che vogliono prevedere il tasso di disoccupazione dei paesi; per fare ciò, il primo step da compiere è appunto quello di scegliere quali variabili inserire all’interno del processo di forecast e quali escludere. A quel punto entrano in gioco modelli di tipo matematico-statistico che si basano sulla previsione della variabile oggetto di analisi.
Un processo random
L’aleatorietà del forecasting è data del fatto che i fenomeni economici vengono trattati secondo modelli probabilistici, dunque considerando le variabili da predire come se fossero aleatorie. Per capire perfettamente cosa sia una variabile aleatoria si pensi al lancio di un dado: ad ogni faccia è associata una certa probabilità che la stessa esca a seguito del lancio. In questo caso la variabile aleatoria è una variabile che può assumere uno dei valori della faccia del dado (da 1 a 6) ed ogni valore viene ponderato con la probabilità che esso ha di uscire (in questo caso è sempre 1/6).
Adesso è opportuno pensare alle variabili economiche, ad esempio PIL, tasso di disoccupazione o di inflazione, come a delle variabili aleatorie, dunque casuali. In questo schema il forecast si basa generalmente sulla stima di indicatori statistici, quali media, varianza e covarianza, per fare un’analisi di previsione. Si ricordi che la media è il valore medio che la variabile assume nel periodo oggetto di analisi, mentre la varianza misura il suo livello di dispersione, quindi quanto le osservazioni si discostano dal valore medio. La covarianza, invece, misura il grado di correlazione tra la variabile al tempo attuale ed il suo stesso valore ad un tempo passato (in questo caso di fatto viene definita autocovarianza). Questa misura è la base del forecast perché ci dice il grado di correlazione che la variabile ha con i suoi valori precedenti, dunque se l’operatore possa “fidarsi” o meno del comportamento passato della variabile e cercare di utilizzarlo per prevedere quello futuro.
Le cose si complicano ancora di più se si pensa al fatto che, generalmente, le variabili prese in considerazione non sono stazionarie. La non stazionarietà implica semplicemente che le misure sopra spiegate (media, varianza, covarianza) dipendono dal tempo. Può sembrare inizialmente complicato da intuire, ma se queste misure dipendono dal tempo l’analisi di previsione si fa piuttosto ardua. Ad esempio possiamo immaginare di volere svolgere una previsione sul PIL e che, una volta calcolata la varianza, notiamo che essa dipende dal tempo con una relazione moltiplicativa; dunque la varianza del PIL in un dato periodo di tempo è un certo valore moltiplicato per il tempo stesso, il che si risolve in una crescita costante. Questo è il caso più semplice di non stazionarietà, ma anche uno dei più significativi: di fatto una varianza che cresce col tempo rende impossibile il controllo della variabile da predire, perché essa si discosta costantemente dal valore medio ed azzera le sue probabilità di ritornarci. Per ovviare al problema della non stazionarietà ci sono delle tecniche econometriche che si propongono di scomporre il trend e lavorare sulle componenti stazionarie.
In conclusione possiamo dire che l’economic forecasting è una disciplina affascinante che tuttora sta cercando di migliorarsi per diventare ancora più efficace. Come accennato anche precedentemente, il basarsi interamente su concetti probabilistici rende ardua la collocazione di tale procedura nell’ambito puramente scientifico; proprio per questo motivo matematici, statistici ed econometrici cercano costantemente di apportare modifiche e correzioni tali da migliorare il processo di previsione delle variabili economiche.