Chi di noi non ha mai sentito parlare o utilizzato almeno una volta Spotify?
L’intuitività e la velocità dell applicazione, il catalogo immenso e periodi di prova molto appetibili (1 euro per tre mesi), hanno reso Spotify il primo digital music streamer a livello mondiale con 100 milioni di utenti attivi, superando per abbonamenti persino Apple Music, nativo su tutti gli Iphone e device Apple.
Un po’ di storia: Spotify è stato sviluppato a partire dal 2006 dalla Spotify Ab, azienda con base a Stoccolma, fondata da Daniel Ek e Martin Lorentzon. Dopo due anni l’app viene lanciata ufficialmente e subisce un rapido sviluppo, sbarcando dapprima nel mercato statunitense e, in seguito, nel resto del mondo, ampliando il proprio catalogo e la propria offerta con una crescita costante degli utenti attivi e abbonati.
Il modello utilizzato da Spotify è chiamato “Freemium”. Esso permette agli utenti di ascoltare gratuitamente le canzoni sulla piattaforma a fronte d’inserzioni pubblicitarie (molto frequenti) oppure di scegliere un abbonamento mensile premium che oltre ad aumentare la qualità audio, elimina le pubblicità e permette il download delle canzoni. Tutto questo al costo di 10 euro mensili.
La settimana scorsa la società svedese ha annunciato su Twitter di aver raggiunto i 50 milioni di abbonati, ben 25 % in più rispetto allo scorso anno, stimando inoltre di raggiungere 100 milioni entro la fine del decennio, mentre Apple music rimane fermo a 20 milioni.
I margini di crescita sono elevatissimi, la caduta del mercato fisico musicale porterà sempre più utenti ad affidarsi a servizi di streaming digitale e Spotify, da leader del mercato, non potrà che trarne ulteriore vantaggio. Tutto molto lineare se non fosse che l’azienda svedese è in rosso dalla sua nascita, nonostante grossi investimenti privati: 194 milioni di perdite nel 2016, 185 nel 2015 e 162 nel 2014. Com’è possibile che, nonostante 50 milioni di utenti paghino per ascoltare musica sulla sua piattaforma, il modello di business di Spotify non sia redditizio? Andiamo ad analizzare un po’ di dati. Spotify ha fatturato nel 2016 la bellezza di 2 miliardi di dollari, quasi il 50 % in più rispetto al 2014 e il 70 % in più rispetto al 2013.
Quest’ammontare è suddiviso tra entrate dagli abbonamenti (1,74 miliardi) e pubblicità, strumento che ha fatto la fortuna di Youtube e Facebook, che invece rende solamente 195 milioni all’azienda (10% ricavi totali). Il Ceo Ek, nonostante i guadagni, si trova ad affrontare dei costi elevatissimi, con l’80-85% del budget che va a coprire i costi dei diritti per le 30 milioni di canzoni disponibili nel catalogo, un numero di dipendenti elevato considerato il tipo di azienda (ben 1700) e altri costi di diversa natura. Infine l’azienda deve far fronte anche a un indebitamento progressivo che rischia di sbilanciare ulteriormente l’equilibrio economico aziendale: nel 2016 Spotify, infatti, ha ricevuto un prestito di 1,5 miliardi a condizioni molto dure e onerose, soprattutto nel caso in cui dovesse rinviare l’ipo. Secondo alcuni analisti, tuttavia, Spotify dovrebbe raggiungere il punto di pareggio nel giro di 2-3 anni, grazie all’aumento costante degli utenti iscritti e considerando anche l’eventuale entrata in borsa.
Quali sono invece le novità più importanti che Spotify presenterà in futuro?
Per quanto riguarda i nuovi album, sono diversi giorni che circolano delle voci secondo cui Spotify avrebbe trovato un accordo con le case discografiche: le nuove uscite potranno essere ascoltate inizialmente solo dagli abbonati e non più da tutti gli utenti e, in cambio, Spotify beneficerà di uno sconto sulle royalties, sgonfiando un po’ quella gravosa voce in bilancio. Per quanto riguarda l’aumento dei ricavi, Spotify starebbe testando Hi-Fi Spotify, un nuovo servizio di streaming lossless con una qualità pari a quella di un CD audio, con un costo compreso tra i 5 e i 10 dollari da aggiungere all’abbonamento.
Vedremo come si evolverà la situazione in futuro, considerando che le voci di un ingresso di Spotify nel mercato azionario si stanno facendo sempre più frequenti e importanti.