Nonostante illustri economisti, come Stiglitz e Friedman, abbiano criticato il tentativo di creare un’area valutaria unica per economie eterogenee, nei primi dieci anni della sua vita l’euro ha riscosso successo dall’opinione pubblica, dai principali partiti politici e dai mercati. L’euro, grazie alla scomparsa del rischio di svalutazione della moneta percepito dai mercati sui titoli sovrani degli Stati europei, fra 1999 e 2009, è riuscito a portare diversi benefici. Ci fu l’abbattimento dei costi di transizione commerciali, una riduzione della spesa per interessi, bassa inflazione. Inoltre, l’euro portò un relativo contenimento della spesa pubblica in un periodo di crescita non alta ma comunque costante.
Un’area valutaria non ottimale
Secondo quanto sostenuto dal premio Nobel R. Mundell, per più Paesi può essere conveniente adottare una moneta unica quando vi è una forte convergenza non solo nell’assetto politico ma anche economico e fiscale. La situazione di maggior difficoltà per un’area valutaria si verifica, infatti, quando vi è la presenza di shock asimmetrici. Gli shock asimmetrici sono momenti in cui mentre il prodotto reale e l’occupazione di un Paese si rafforzano, quelli di un’altro Paese con la stessa moneta si contraggono.
Mundell sosteneva che un’area valutaria, in presenza di shock asimmetrici, potesse contare su tre strumenti di aggiustamento: politica fiscale comune, perfetta circolazione dei lavoratori e perfetta flessibilità dei salari. Tutte e tre queste condizioni sono mancate nel momento del bisogno. Infatti, durante ed in seguito alla Doppia Recessione, a subire i peggiori danni sono state le economie più deboli all’interno dell’eurozona.
La mancanza di investimenti pubblici
Mentre, dal 2008 in poi, Giappone, Polonia, Inghilterra e Stati Uniti, oltre ad una politica monetaria espansiva, hanno utilizzato anche ampi stimoli fiscali per favorire la ripresa, i paesi dell’eurozona non sono stati in grado di rispondere con la stessa decisione. Infatti ci fu un paradossale crollo degli investimenti pubblici, il principale strumento di contrasto alla crisi a disposizione del settore pubblico.
Con la crisi dei debiti sovrani nel 2011, i mercati iniziarono per la prima volta a mettere in discussione l’irreversibilità dell’euro, iniziando a percepire il rischio di default per Spagna, Italia, Irlanda, Grecia e Portogallo. Venne così indebolita anche la convergenza tra il rendimento dei diversi titoli di stato dei Paesi dell’eurozona che si era registrata nei primi dieci anni dell’Unione Monetaria.
La Doppia Recessione ha lasciato un’Europa ancor più diseguale di quanto non lo fosse prima della sua stessa costituzione, non solo nei conti pubblici, ma anche e soprattutto in termini di occupazione.
Stagnazione e perdita di competitività
L’eurozona negli ultimi dieci anni si è indebolita anche esternamente, cioè nelle performance di crescita rispetto ai competitor internazionali. Ci sono diversi fattori in gioco, in particolare la crescente disuguaglianza interna e l’indebolimento complessivo dell’area-euro nei confronti delle economie emergenti. Questo, insieme al rafforzamento della Russia ed all’accumulo del gap nei confronti dei livelli di crescita degli Stati Uniti, ha reso l’eurozona ancora più vulnerabile ad eventuali shock.
I possibili scenari per il futuro
Poiché i conti pubblici degli Stati europei sono abbastanza stabili, è improbabile che un Paese dei 19 che hanno adottato l’euro abbandoni la moneta unica.
Poiché la Banca Centrale Europea non svolge il ruolo di prestatore di ultima istanza nei confronti degli Stati, il rischio principale per la sopravvivenza dell’euro è quello della sostenibilità dei debiti pubblici dei Paesi aderenti: di fronte ad un ipotetico default, che potrebbe essere causato anche da altri shock endogeni difficilmente prevedibili e controllabili come quello proveniente dagli Stati Uniti nel 2007, gli incentivi ad uscire dall’Euro-Sistema sarebbero maggiori: la ri-denominazione del debito pubblico potrebbe far risparmiare molto in termini reali allo stato che si trova in bancarotta.
La differenza rispetto a prima dell’inizio della Grande Recessione è che, oltre che un clima politico molto più freddo nei rapporti tra i paesi Europei, vi è anche una maggiore fragilità nel poter affrontare altri possibili shock: questa volta il ripetersi di una situazione simile a quella capitata alla Grecia nel 2012/3 metterebbe seriamente a repentaglio la sopravvivenza dell’euro, anche a causa della sempre maggior interconnessione delle economie europee e mondiali in particolare nel settore bancario.