La lettera di Draghi al Financial Times
Come affrontare le sfide che la crisi economica portata dal coronavirus ci pone davanti, con un sistema finanziario che sembra incapace di muovere le risorse finanziarie dove necessario? Nonostante gli sforzi fatti dalle Banche Centrali, diversi paesi dell’Unione Europea non hanno ancora uno spazio sufficiente di manovra fiscale, a giudicare con il metro dei parametri di Maastricht.
A proporre una nuova idea di finanza pubblica si offre l’ex presidente della BCE Mario Draghi, che in una lettera al Financial Times ha voluto descrivere ciò che ritiene opportuno fare per affrontare questo periodo storico. Draghi paragona la crisi che si abbatterà a seguito del coronavirus a quella degli anni ’20 del secolo scorso: l’unico modo di evitarlo è che vengano prese misure adeguate, e ritiene di conseguenza che l’intervento a sostegno dell’economia debba essere proporzionato all’eccezionalità della sfida.
L’idea di fondo che Draghi propone è di stampo keynesiano: a suo parere il bilancio dello Stato dovrebbe assorbire l’impatto economico devastante del coronavirus per evitare una spirale economica negativa e un credit crunch (ossia la diminuzione dei prestiti erogati all’economia reale), in quanto il settore privato non è responsabile della crisi, né è in grado di farvi fronte. Tuttavia, affinché le risorse messe a disposizione dallo Stato siano efficaci, il settore bancario e il mercato dei bond giocano un ruolo fondamentale nel garantire che il flusso di denaro arrivi al sistema produttivo.
Secondo l’ex Presidente della BCE, lo stato dovrebbe garantire i prestiti erogati alle imprese dal sistema bancario affinché quest’ultimo sia disposto a prestare. Inoltre, il costo di tali garanzie dovrebbe essere zero a prescindere dal profilo di rischio dell’azienda a vantaggio della quale esse si offrono. Infine, deve essere zero anche il costo del finanziamento se l’impresa si impegna a salvaguardare posti di lavoro.
Tale strategia non potrà che portare ad un aumento del debito pubblico: ciò è in netto contrasto sia con i vincoli di bilancio previsti dal Patto di Stabilità e Crescita – ai quali le volontà di spesa degli stati della zona euro dovranno tornare a sottostare – sia con le condizioni di mercato (che ha dimostrato di non apprezzare livelli di debito troppo alti, soprattutto nelle economie del sud Europa).
Il massiccio intervento statale potrebbe quindi innescare una ulteriore crisi, a seguito della quale arriverebbero tagli alla spesa pubblica nella logica dell’austerity, con gli effetti nefasti che tutti abbiamo osservato in Grecia. Ecco dunque la chiave di volta del ragionamento di Draghi: alti livelli di debito pubblico non dovrebbero più essere un problema e non dovremmo stupirci di ciò. Anzi, livelli di debito pubblico elevato diventeranno una caratteristica delle nostre economie. Questo servirà ad evitare una distruzione permanente di posti di lavoro e capacità produttive.
Gli Eurobond, strumenti necessari per garantire spazio di manovra fiscale
Ma come rendere sostenibili livelli di indebitamento così elevati? È condizione necessaria, per tenere in piedi il ragionamento di Draghi, immaginare di finanziare questo poderoso intervento statale con nuovi strumenti finanziari: sarebbe altrimenti inconcepibile fare una proposta simile. Tuttavia, gli strumenti usati a seguito della grande crisi finanziaria del 2007-2008 portarono negli anni successivi, più precisamente nel biennio 2010-2011, alla crisi dei debiti sovrani.
Dunque l’emissione massiccia di titoli di debito pubblico a capo dei singoli stati per finanziare l’intervento statale invocato non rappresenta una strada praticabile per molti paesi della zona euro, già fortemente indebitati, in quanto si ricreerebbero le condizioni per una nuova crisi dei debiti. Vi è necessità di strumenti nuovi, che non diano agli investitori tutele legate unicamente alle performance di bilancio di un singolo stato, ma che piuttosto siano garantiti da tutti i paesi membri dell’eurozona.
È proprio questa l’idea proposta al presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, da nove capi dell’esecutivo dei paesi della zona euro, tra cui il Primo Ministro italiano Conte e il Presidente della Repubblica francese Macron. Tale proposta prevede di creare dei titoli di debito comune, i cosiddetti Eurobond (chiamati da alcuni Coronabond, viste le circostanze), il cui scopo è fondamentalmente quello di abbassare il costo del servizio del debito per gli stati in maggiore difficoltà, in modo da metterli in condizione di finanziare a tassi contenuti «i necessari investimenti nei sistemi sanitari e le politiche temporanee volte a proteggere le nostre economie e il nostro modello sociale».
I punti critici degli Eurobond
Tuttavia tale progetto presenta delle criticità. La prima è di carattere legale: alcuni paesi, come la Germania, hanno una costituzione che proibisce di cedere sovranità fiscale a soggetti terzi, cosa che accadrebbe nel caso in cui la Germania prestasse delle garanzie su un debito emesso da un altro stato dell’unione monetaria. La seconda è dovuta all’utilizzo regionale delle risorse: nell’eventualità che uno stato abbia necessità spropositate di usare gli Eurobond, il tasso di interesse da pagare su questi si alzerebbe meno che se il paese fosse l’unico garante del debito, e allo stesso tempo si alzerebbe più del previsto per tutti gli altri paesi che ne fanno uso; dunque la nazione in questione scaricherebbe parte del costo del finanziamento sulle altre.
La terza criticità, che si ricollega alla prima, è la caratteristica di risk-sharing degli Eurobond, la quale prevede che nel caso di default di uno dei paesi dell’eurozona i titoli di debito in capo ad esso debbano essere rimborsati agli investitori dal resto degli stati emittenti. Vale la pena specificare che, se è pur vero che tali criticità siano un ostacolo alla creazione di Eurobond, è fuori dubbio che senza tali caratteristiche questi titoli di debito non sarebbero affatto distinguibili da quelli emessi dai singoli stati: dunque è proprio in queste criticità che risiede il valore dello strumento e, di conseguenza, vi è necessità di una risoluzione politica e non finanziaria delle stesse.
L’assetto istituzionale che si rende necessario prevede un rinnovato ruolo dello stato, il quale, essendo portatore dell’interesse pubblico, ha il diritto e dovere di indebitarsi a tassi controllati per intervenire nell’economia affinché siano tutelati i posto di lavoro, le aziende e la salute pubblica. Ma questo potrà avvenire solo a patto che l’Unione Europea si dimostri davvero un’unione di popoli solidali gli uni con gli altri e non una fredda costruzione finanziaria.