Il dibattito su una possibile uscita dell’Italia dall’euro (Italexit) si è recentemente intensificato, ponendosi al centro di numerosi scontri politici e determinando una reazione nei mercati ed una crescente sfiducia nel bilancio italiano. Le forze in gioco si dividono in euroscettici, a favore della riconquista della sovranità monetaria, ed europeisti, che evidenziano i numerosi vantaggi derivanti dall’appartenenza all’area euro.
Per comprendere le teorie e le tesi sostenute da ognuno dei due gruppi è innanzitutto necessario ricordare i benefici ed i costi che derivarono dall’adozione della moneta unica. L’introduzione dell’euro favorì un aumento degli scambi e dell’integrazione all’interno dell’Unione Europea, consentì all’eurozona di funzionare come un’area valutaria ottimale e portò all’azzeramento della differenza tra i tassi di interesse richiesti dal mercato ai diversi Paesi dell’eurozona. Come contropartita per tali benefici, l’adozione dell’euro portò alla perdita della sovranità monetaria degli Stati, che rinunciarono alla facoltà di manovra della moneta e al controllo sull’inflazione. Da quel momento in poi, la politica monetaria sarebbe stata stabilita unicamente dalla Banca Centrale Europea, un soggetto terzo a cui fu assegnato il mandato di mantenere la stabilità dei prezzi.
La tesi euroscettica
Il fulcro della tesi euroscettica è la riconquista della sovranità monetaria. Gli strumenti necessari sono una moneta nazionale ed una Banca Centrale nazionale.
Moneta nazionale
Gli euroscettici considerano l’euro una moneta eccessivamente forte per il sistema produttivo italiano e sono quindi favorevoli all’adozione di una moneta nazionale da poter svalutare quando necessario. Tuttavia, è bene ricordare che svalutare una moneta significa rendere più cari tutti i beni importati e questo genera inflazione nel Paese.
Banca Centrale Nazionale
Con l’introduzione della Banca Centrale Europea, i Paese membri persero il controllo del tasso di interesse sul proprio debito sovrano. Secondo le regole attuali, infatti, ogni volta che un Paese genera nuovo debito pubblico, questo deve essere acquistato dal mercato ai tassi di interesse correnti. Nella visione euroscettica, il problema verrebbe risolto se l’Italia avesse una propria Banca Centrale: questa infatti, potrebbe stampare moneta ed acquistare i titoli del debito pubblico nazionale, inducendo un abbassamento dei tassi di interesse. Tuttavia, anche questa misura avrebbe un notevole impatto inflattivo.
Gli effetti delle misure euroscettiche
Considerando congiuntamente l’inflazione derivante dalle due misure, la conseguenza diretta sarebbe la diminuzione quasi istantanea del potere d’acquisto, di un ammontare pari a quello dell’inflazione. Questo problema è noto ai sostenitori dell’Italexit, i quali tuttavia lo considerano un prezzo da pagare in cambio di altri numerosi benefici, tra i quali la possibilità di iniziare una politica fiscale espansiva (tagliare tasse, creare sussidi) o il poter rendere, per mezzo della svalutazione, più competitive le imprese che esportano.
La tesi europeista
Gli europeisti controbattono sottolineando che non sempre la svalutazione rende le imprese più competitive, fenomeno che dipende piuttosto dalla tipologia di azienda considerata, e ricordano i numerosi benefici, in termini di costo di accesso al credito, che l’adozione dell’euro ha comportato e che potrebbero svanire di fronte ad un’eventuale uscita.
È vero che la svalutazione favorisce le imprese che utilizzano fattori produttivi nazionali e vendono il prodotto finito all’estero: in questo caso il costo degli input non cambia e l’impresa è avvantaggiata nelle esportazioni. Nel mondo di oggi, tuttavia, le catene del valore hanno carattere internazionale: le principali importazioni italiane consistono di prodotti intermedi che vengono successivamente lavorati dalle imprese. A seguito della svalutazione, quindi, il materiale importato diventerebbe più caro, aumenterebbero i costi di produzione interni ed il vantaggio sulle esportazioni sarebbe compensato dallo svantaggio sulle importazioni.
L’idea che la svalutazione promuova l’export, quindi, diviene meno concreta in un mondo complesso e dipende da variabili legate da un lato alle caratteristiche della catena del valore, dall’altro alle caratteristiche del settore e del mercato di sbocco: non serve svalutare se alla frontiera viene posto un dazio di ammontare pari a quello della svalutazione. Siccome la metà delle esportazioni italiane è diretta verso i Paesi dell’eurozona, perdere l’accesso a tale mercato a causa dell’uscita dall’euro è un pericolo che non va sottovalutato.
L’impresa ha bisogno di finanziamenti
Uno dei principali benefici derivanti dall’adozione dell’euro fu il crollo dello spread, fattore strettamente correlato al costo di accesso al credito. Un’eventuale uscita dall’euro provocherebbe al contrario un aumento dello spread, rendendo quindi l’accesso al credito più difficile e costoso. In questo scenario, l’impresa non solo si troverebbe con un capitale proprio intaccato a causa della svalutazione, ma sarebbe anche costretta a dover corrispondere alla banca maggiori tassi di interesse sui propri finanziamenti.
Infine, a chi sostiene che l’euro sia una moneta troppo forte per la nostra economia, gli europeisti fanno notare come l’export italiano sia sempre cresciuto negli ultimi 10 anni, nonostante la recessione e la diminuzione del PIL. Le imprese che operano sul mercato internazionale (e che compongono il 25% del PIL) sono le uniche che, essendo obbligate a confrontarsi con la concorrenza estera, riescono a crescere in termini di fatturato e di produttività. Il restante 75% del PIL italiano, derivante dai servizi, non registra invece alcuna crescita significativa della produttività e mostra scarsa innovazione ed investimenti quasi inesistenti: il problema, sostengono gli europeisti, sembrerebbe quindi essere legato alle caratteristiche stesse del nostro Paese.
In conclusione, quindi, ognuna delle due parti porta argomenti a favore della propria tesi, ed è necessario capire in quale scenario i benefici siano maggiori dei costi al fine di poter prendere decisioni ponderate.
https://startingfinance.com/bilancio-dellue-si-finanzia-leuropa-usa-soldi/