Il caso
Di seguito riporteremo i fatti così come esposti nel post di Zuckerberg del 21 Marzo per poi commentare successivamente. Nel 2013 un ricercatore dell’ Università Cambridge chiamato Aleksandr Kogan crea un’app per raccogliere test della personalità associati al proprio profilo Facebook, con 260 mila persone che decidono di condividere i propri dati e di fare il test per aiutare la ricerca. Tramite queste persone, per come Facebook funzionava nel 2013, è stato possibile ottenere 10 milioni di profili relativi agli amici degli utenti dell’app. Nel 2015 grazie al The Guardian si è scoperto che Kogan ha condiviso, dietro compenso, i dati raccolti tramite l’app con Cambridge Analytica. Questa pratica viola i Termini del Servizio di Facebook e quando il social network lo scopre intima immediatamente la società di distruggere i dati e di dimostrarne la distruzione. C.A. certifica dunque la distruzione dei dati. La scorsa settimana tramite l’inchiesta del The Guardian è stato però scoperto che i dati sono stati detenuti nonostante l’ordine di distruzione. Il team di Facebook, una volta venuto a conoscenza dell’accaduto, ha bloccato tutti gli account relativi a C.A. ed alle persone ad essa collegate. La modalità con cui sono stati ottenuti i profili degli utenti è sicuramente una modalità illecita rispetto ai “Terms of Service” rilasciati da Facebook, ma non si può parlare in questo caso di un vero e proprio reato, in quanto l’azienda non avrebbe violato una legge ma le condizioni dettate da Facebook per poter utilizzare il servizio. L’accusa mossa a Cambridge Analytica oltre la raccolta dei dati poco trasparente è quella di aver “manipolato” le elezioni americane in favore di Donald Trump. Ma come si fa a manipolare le elezioni avendo a disposizione una grossa quantità di dati personali ?
Il vero business di Facebook
Per spiegare la vicenda bisogna partire da una questione molto semplice, ma di cui spesso non ci si rende conto: se Facebook riesce ad essere gratuito per più di un miliardo di utenti ed essere allo stesso tempo un’azienda dal valore di circa 500 miliardi di dollari qualcuno deve pagare. Quel qualcuno sono le aziende, a cui viene venduto spazio pubblicitario sul social network. Il grosso potere di cui gode Facebook è dovuto al fatto che ognuno di noi condivide con tranquillità moltissimi dei propri interessi e proprio in base a questi interessi ed attività le aziende possono decidere di pubblicizzare i propri prodotti a determinati “cluster” di utenti che sono più inclini a comprarli. C’è da fare però un’importante precisazione: il modello di business di Facebook non è vendere i tuoi dati direttamente alle aziende, ma permettere ad esse di fare pubblicità mirate sulla piattaforma. E’ Facebook stesso ad utilizzare i tuoi dati per capire quale prodotto può interessarti di più e a consegnarti la pubblicità più adatta a te. Facciamo un esempio. Un’azienda di cibo per cani può decidere di far vedere le pubblicità dei propri prodotti solo alle persone che hanno messo “like” a pagine riguardanti i cani, che abitano nella zona di Milano e che hanno dai 25 ai 45 anni. Arrivando così ad un bacino di utenza molto più specifico rispetto alle forme di pubblicità tradizionale. Il livello di dettaglio a cui è possibile far arrivare il proprio annuncio è quindi straordinariamente focalizzato.
Pubblicità ed elezioni
Possiamo ora rispondere alla domanda che ci eravamo posti, cioè “come si può sfruttare il meccanismo delle pubblicità per manipolare le elezioni?”
Probabilmente nessuno può spiegarvelo meglio del CEO di Cambridge Analytica stesso, Alexander Nix, in questo video.
In sintesi, ammettiamo di avere a disposizione le informazioni personali di 50 milioni di utenti tra cui i tratti della personalità di 260 mila persone. Con questi dati è possibile trovare dei cluster di pagine Facebook che molti utenti con una determinata personalità visitano e confezionare un messaggio elettorale apposta per loro. Ad esempio, sapendo quali pagine Facebook visitano le persone che hanno un’alta componente di “estroversione” (uno dei parametri che il test della personalità misura) potremmo confezionare un testo ed un’immagine pubblicitaria che faccia leva su questa caratteristica psicologica degli utenti e consegnare questo messaggio pubblicitario esclusivamente a loro. Il punto è che nulla ci impedisce di confezionare allo stesso tempo un messaggio elettorale diverso che faccia leva invece sulle persone che hanno una bassa componente di “estroversione”, selezionando accuratamente i cluster di utenti ogni elettore vedrà uno spot propagandistico diverso, che magari contiene messaggi diversi e che fa leva sui tratti specifici della sua personalità.
Se tutto questo non vi convince, provare a vedere quanto della vostra personalità si può predire dai vostri like, ecco una demo della ricerca di Aleksandr Kogan utilizzata da Cambridge Analytica: demo.
Più consapevolezza dei propri dati personali
Viviamo in un mondo che è sempre più “data-driven”, i dati che generiamo ogni giorno nelle nostre interazioni con i social network e con i servizi web bastano per avere un profilo completo di ognuno di noi: Fotografie, posizioni GPS, valutazioni di ristoranti, opinioni, prenotazioni di hotel, prodotti acquistati. Basta poco a capire quanto qualsiasi azienda pagherebbe per poter mirare la sua pubblicità sul cliente ideale per il suo prodotto avendo a disposizione così tante variabili su cui scegliere. Il valore dei nostri dati è immenso e come utenti bisogna rendersi conto che troppo spesso non si è informati adeguatamente su qual è il costo in termini di informazioni personali per poter utilizzare un determinato servizio. Quante volte abbiamo spuntato “Accetto i Termini del Servizio” senza sapere quali erano precisamente le informazioni che stavamo condividendo con l’App? Servizi come Google Search, Facebook, Whatsapp e Google Maps ci vengono forniti in maniera gratuita in cambio delle nostre informazioni personali. Questo non è necessariamente un male a patto che gli utenti abbiano il controllo delle proprie informazioni e siano liberi di scegliere con chi condividerle, ma è necessario creare un’infrastruttura che permetta agli utenti di scegliere quanto condividere e fin quando questi servizi possono o meno accedere ai propri dati personali. Una delle soluzioni al problema potrebbe essere raggiunta grazie alla tecnologia blockchain di cui tanto si sente parlare, alcuni progetti come https://datawallet.com mirano a creare un exchange per i dati in cui l’utente ha davvero il completo controllo. In quest’ottica si potrebbe arrivare ad un mondo in cui l’utente è consapevole dell’importanza dei propri dati, è libero di scegliere con chi condividere i propri dati e soprattutto è libero di vendere in prima persona e senza intermediari sue informazioni personali alle aziende che l’utente stesso ritiene degne della sua fiducia.
A proposito di Zuckerberg, scopri la sua visione del futuro, secondo la quale la fine degli smartphone e della TV è vicina.
di Flavio Di Palo