Negli ultimi anni è cresciuta molto l’attenzione da parte delle aziende verso i propri lavoratori. Fino agli anni ’90, ciò che oggi conosciamo come welfare aziendale, smart-working, e flessibilità erano concetti estranei o quantomeno lasciati in secondo piano dalle aziende. Oggi invece si tende sempre più ad associare il benessere del lavoratore ad una migliore performance, a parità di ogni altra variabile.
Questo presupposto diventa un requisito indispensabile, in quanto si sta affermando l’idea che – a parità di mansione, ore di lavoro ed organizzazione – la produttività di un lavoratore possa essere incrementata semplicemente aumentando il suo benessere. E se è vero che il benessere dell’individuo è parte fondamentale ed integrante della sua felicità, viene da pensare che, con ogni probabilità, un individuo felice produca di più.
Arrivati a questo punto, è bene prendere in considerazione qualche dato. Nel 2019, l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha stilato una classifica che mostra, tramite l’utilizzo di uno specifico indicatore, le nazioni più felici del mondo: tale indice mette in relazione diversi fattori, come ad esempio PIL pro capite, sostegno sociale, speranza di vita e timore del futuro. Uniti tra loro, tali fattori assegnano un punteggio più o meno alto alla singola nazione, che viene poi comparato con quello di tutti gli altri paesi. I dati per i primi dieci stati, più l’Italia, sono mostrati nel grafico seguente (Fonte: dati ONU 2019 – Rielaborazione a cura di Starting Finance).
Al fine di capire se effettivamente può esistere un rapporto tra felicità è produttività, proviamo ora a mettere in relazione il precedente grafico con un secondo, modificando la variabile che si vuole analizzare (Fonte: dati OCSE 2019 – rielaborazione a cura di Starting Finance).
Il grafico mostra sull’asse delle ascisse il paese di riferimento e sulle ordinate il numero di ore mediamente lavorate in un mese. La linea arancione indica invece il rapporto tra il PIL del paese e le ore lavorate: tale valore rappresenta la produttività del lavoro, in quanto risponde alla domanda «quanta parte di PIL un lavoratore produce in un mese?». È possibile notare che per paesi come l’Islanda, la Danimarca e l’Olanda, il rapporto tra PIL e ore lavorate sia molto elevato. Si deve anche notare che le ore settimanali lavorate in Danimarca sono le più basse d’Europa.
Confrontando i dati di origine dei due grafici, ecco cosa si può osservare. La prima delle due tabelle seguenti elenca la classifica dei paesi più felici del mondo secondo l’ONU, la seconda illustra invece la correlazione tra ore lavorate e rapporto PIL/ore. Si nota come ben quattro dei dieci paesi più felici del mondo siano anche tra i più produttivi.
Ovviamente non è sufficiente una correlazione per affermare l’esistenza di una proporzionalità diretta tra felicità e produttività. Proviamo quindi a farci aiutare da una ulteriore classifica, questa volta riguardante l’innovazione tecnologica all’interno di un paese. Come ogni modello che si rispetti bisogna effettuare un’assunzione: l’avanzamento tecnologico di un paese porta ad aumentare la produttività del lavoro complessivo.
Possiamo infatti immaginare che in un paese tecnologicamente avanzato ci sia più spazio per quelle professioni che necessitano di un elevato know-how, e che quindi portano maggiori redditi sia all’individuo che all’impresa. Inoltre in un paese con elevato grado di innovazione tende a prevalere il lavoro altamente remunerativo, con preferenza per i servizi di outsourcing o per l’importazione di merci, piuttosto che per la produzione interna (spesso anche per ragioni territoriali o climatiche).
Questa ultima assunzione è dimostrata dal fatto che i paesi in vetta alla classifica riguardante la retribuzione media annuale in Europa sono anche quelli in cui i servizi finanziari, la ricerca tecnologica in campi strategici (come quello delle energie rinnovabili e la medicina) e i servizi ingegneristici rappresentano il traino dell’economia (Fonte: dati Eurostat 2016 – rielaborazione a cura di Starting Finance).
A questo punto vogliamo cercare di capire se sussiste una correlazione diretta tra la felicità di un paese ed il suo indice innovativo. L’edizione 2019 del Global Innovation Index (GII), rilasciato in maniera congiunta da INSEAD, WIPO, Cornell University e GII Knowledge Partners, può dare un importante contributo all’analisi. Il GII ha classificato le 129 economie del mondo sulla base di 80 indicatori, che vanno dalla misura degli investimenti in ricerca e sviluppo, alla domanda di brevetti e marchi internazionali, fino al numero di applicazioni per smartphone che il paese ha prodotto durante l’anno. Utilizzando questa speciale classifica e comparandola con quella della felicità, come fatto di seguito, sarà possibile scovare l’esistenza di una eventuale correlazione tra felicità e innovazione.
Considerando le due tabelle sopra esposte, è possibile osservare che cinque dei dieci paesi più innovativi del mondo rientrano anche nei dieci più felici. Inoltre, nel caso decidessimo di allungare l’analisi e considerare i paesi fino al 20° posto del GII, vedremmo la Norvegia al 19° posto, l’Islanda al 20° e il Canada al 17°. L’Italia in questa classifica ottiene la 30° posizione, comunque non molto distante dalla 36° della classifica dell’ONU sulla felicità.
In conclusione, confrontando il benessere delle persone, e quindi dei lavoratori, in un paese, con la produttività del lavoro e con l’indice di innovazione del paese stesso, è possibile affermare che un rapporto di proporzionalità sussiste. A confermarlo sono appunto i dati raccolti, estrapolati da fonti diverse ma provenienti da studi che fanno riferimento ad uno stesso orizzonte temporale (il triennio 2016-2019), i quali collocano i paesi analizzati sullo stesso livello gerarchico della classifica.