Con l’avvicinarci al giorno delle elezioni, programmate per il prossimo 4 marzo, non possiamo non parlare di una delle manovre finanziarie più importanti discusse dagli attuali schieramenti di centro-destra, la flat tax. Con questo articolo non ci proponiamo di valutare la fattibilità finanziaria della proposta, vogliamo invece analizzare da quali paesi europei questa sia stata attuata e quali effetti abbia avuto.
La flat tax punta a ridurre ad un’unica aliquota i diversi scaglioni di imposizione fiscale su imprese e contribuenti. Secondo i suoi sostenitori, una maggiore semplicità ed un’aliquota più bassa potrebbero favorire l’emersione dell’evasione, maggiori investimenti ed un aumento del gettito fiscale complessivo secondo i principi della curva di Laffer. Gli oppositori invece sostengono che la flat tax accentui le differenze tra le classi sociali e soprattutto che non sia un valido espediente per combattere l’economia sommersa ed aumentare gli introiti per lo Stato.
La tabella seguente mostra la percentuale che viene applicata in ogni Paese europeo in cui è in vigore la flat tax. L’Estonia è stato il primo Paese ad introdurla, seguita pochi anni dopo da Lettonia e Lituania, quindi nel 2001 dalla Russia.
Secondo i dati forniti dal Sole 24 Ore, l’economia russa nel periodo 2001-2008 ha registrato una crescita media del 6,6%, con un aumento delle entrate di circa cinque punti percentuali di PIL. Come spiega uno studio condotto dal Fondo Monetario Internazionale, la riforma adottata dalla Russia, grazie agli ottimi risultati ottenuti, è stata particolarmente influente anche per altri Paesi economicamente legati ad essa. Tuttavia è lo stesso FMI a ribadire che sarebbe impreciso affermare che la riforma fiscale sia il solo motivo del raggiungimento di queste performance. Molti sostengono infatti che questi risultati siano dovuti soprattutto al boom del settore energetico (la crescita del prezzo del gas nei primi anni 2000) e ad un maggiore livello dei controlli fiscali.
La stessa BCE afferma, con riferimento ai paesi dell’Est Europa, che «La flat tax non garantisce automaticamente la semplificazione del fisco. Il fatto che i Paesi che hanno introdotto la flat tax abbiano al tempo stesso realizzato altre riforme strutturali rende molto difficile isolare l’impatto della flat tax a livello macroeconomico e sul livello del gettito fiscale».
Flat tax ed evasione
Altro aspetto da analizzare è la relazione che lega la flat tax al concetto di evasione fiscale. Funziona davvero a combatterla?
Nella carta realizzata da La Presse, le nazioni in rosso sono quelle in cui l’evasione fiscale supera il 50% del PIL. Nelle aree più chiare l’evasione si attesta tra il 22% e 50% (in Italia è al 27%). Per le nazioni in bianco (Albania, Serbia e Macedonia) non sono disponibili dati. Dal confronto con la tabella precedente, emerge dunque come una riduzione della pressione fiscale non sia di per sé uno strumento sufficiente a garantire agli Stati un aumento degli introiti legato ad una diminuzione dell’evasione.
Un’ analisi speciale la merita la Slovacchia, Paese che nel 2004 decise di adottare l’aliquota fissa e che, dopo soli nove anni, ha scelto di fare dietrofront ritornando ad una tassazione progressiva. Nonostante un approccio graduale fosse stato consigliato al Paese come più prudente, la Slovacchia decise di porre subito un’aliquota al 19%. Eppure, non si è assistito nel breve-medio periodo ad un aumento del gettito dovuto ad un maggior numero di contribuenti come stimato dai piani finanziari. Questo deficit ha creato apprensione per le casse dello Stato, che ha posto rimedio alzando l’IVA. Nel 2013 il nuovo governo di sinistra ha ufficialmente ricondotto il Paese al sistema tradizionale, incrementando dal 34% nel 2012 al 40% nel 2015 le entrate fiscali rispetto al PIL.
I problemi di una flat tax in Italia
Uno dei principali problemi che l’Italia dovrebbe affrontare nel caso in cui la flat tax venisse attuata è come sopperire all’immediata riduzione del gettito fiscale (in questo articolo abbiamo parlato di IRPEF e progressività fiscale). Per un Paese con un rapporto debito pubblico/PIL del 130% e con le restrizioni europee dettate dal fiscal compact, è estremamente improbabile che la Commissione europea accetti questo stravolgimento finanziario, ancor di più in un momento in cui il Bel Paese, seppure più lentamente di tanti altri Stati, si sta riprendendo dal lungo periodo di crisi sofferta. D’altronde, quale studio ci può dimostrare che avvenga un cambiamento nel comportamento del contribuente italiano? Sarebbe quindi necessario indagare su aspetti come educazione e spirito civico quali strumenti indispensabili per raggiungere una maggiore equità fiscale.