Era il 4 Maggio del 1979 quando Margaret Tatcher vinse le elezioni e divenne Primo Ministro d’Inghilterra. Fu il primo grande passo verso la rivoluzione neoliberista che trasformò il capitalismo a livello mondiale, rendendo il mercato più efficente ma anche aumentando la disuguaglianza.
La rivoluzione neoliberista
Le elezioni di Tatcher prima e di Reagan poi risposero alla necessità di bilanciare il rapporto tra Stato ed economia, a seguito delle crisi inflazionistiche e delle stagnazioni che avevano caratterizzato la seconda metà degli anni ’70. Iniziò così una fase di ampie riforme. Si diede maggiore indipendenza delle banche centrali, ci fu una riduzione delle spese per il Welfare e delle tasse sui profitti, oltre alle deregolamentazioni finanziarie. I risultati in termini di crescita dell’economia reale furono al di sopra delle attese, anche se spesso stimolati da un aumento esponenziale dei debiti pubblici.
Il capitalismo alla conquista del mondo
A promuovere la fiducia internazionale nei confronti del libero mercato è stata la caduta del Muro di Berlino nel 1989. La fine del comunismo sovietico ha favorito l’economia mondiale, durante tutti gli anni ’90. Inoltre, entrava nel mercato internazionale la Cina. Nel gestire la transizione tra economie pianificate ed economie di mercato il Fondo Monetario Internazionale ha assunto un ruolo centrale. L’FMI spinse sia diplomaticamente che attraverso la divulgazione scientifica per realizzare rapide liberalizzazioni ed aperture dei mercati. Ecco così che in di pochi anni anche tutti i paesi dell’ex Unione Sovietica iniziarono ad assumere un’assetto economico capitalistico.
In Germania ebbe inizio la lunga fase di riforme volte a trasformare il paese nella più grande potenza manifatturiera d’Europa. L’iniziale deflazione salariale, le ampie e veloci privatizzazioni e la bassa inflazione congiunte all’alto livello di produttività ne fecero terreno fertile per investimenti e crescita notevoli. La comunità europea intanto, con il Trattato di Maastricht nel 1992, sanciva la volontà di creare una moneta unica fondata su una banca centrale e sulla creazione di un mercato unico e libero in tutto il continente.
Il consenso internazionale nei confronti delle forme più complete di capitalismo ha continuato a crescere anche nel nuovo millennio, grazie ai grandi benefici sociali ottenuti dai Paesi ex-comunisti nelle successive decadi.
Markups alle stelle
A seguito della crisi finanziaria mondiale del 2008 e della doppia recessione nell’eurozona (2008/9 e 2011/2013) il consenso nei confronti del capitalismo mercato-centrico ha iniziato a diminuire nell’opinione pubblica, nelle istituzioni, nel mondo accademico, e perfino nel Fondo Monetario Internazionale che tanto nel corso della sua storia ha fatto per proliferare liberalizzazioni e deregolamentazioni finanziarie. Dall’FMI la causa della preoccupazione non era solo nell’eccessiva accumulazione del capitale ma, soprattutto, nella generale tendenza del capitalismo contemporaneo di creare oligopoli in grado di accaparrarsi eccessive quote di mercato. In uno studio pubblicato lo scorso giungo, l’FMI ha analizzato l’evoluzione del potere di mercato mondiale e delle sue implicazioni a livello macroeconomico: i “Markups” (Differenza tra il prezzo di vendita di un bene o servizio ed il suo costo di produzione) dal 1980 al 2016 sono aumentati in media del 39%.
Profitti non condivisi
Secondo la teoria macroeconomica standard un aumento del livello della quota di profitto che rimane nell’impresa è in grado di generare un maggior livello di innovazione grazie ai maggiori investimenti. Negli ultimi ultimi 40 anni, tuttavia, il circolo virtuoso sembra però essersi interrotto.
All’aumento dei Markup è inoltre seguita una lunga stagnazione dei salari reali in quasi tutto l’Occidente, penalizzando così il potere d’acquisto del ceto medio.
Disuguaglianza
Il report Oxfam del 2019 ha messo in luce come la proporzione fra ricchezza mondiale detenuta dai più ricchi del pianeta si sia allargata quasi del 13% dal 2006. Fra i Paesi messi peggio in questo senso c’è l’Italia, dove 2 cittadini su 10 posseggono lo 0,09% della ricchezza nazionale. (Fonte: osservatoriodiritti.it)