L’Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization, WTO), nata nel 1995, costituisce il massimo organismo in materia di commercio internazionale, rappresentando la prosecuzione logica degli accordi commerciali precedenti: il GATT (relativo alle merci), GATS (servizi) e TRIPS (proprietà intellettuale).
Oggi le aree prive di connessioni ufficiali alla politica del WTO sono assai poche: più del 97% del commercio mondiale prende forma sotto il suo ombrello.
Lo scopo principale
In estrema sintesi, l’obiettivo del WTO è quello di ottenere l’abolizione, o perlomeno la riduzione, delle barriere tariffarie a livello mondiale. Per perseguire questo compito l’Organizzazione, in base all’Articolo III dell’Accordo di Marrakech del 1994, deve:
- favorire l’attuazione, l’amministrazione e il funzionamento degli accordi del GATT e degli accordi commerciali multilaterali;
- fornire un contesto favorevole per lo svolgimento dei negoziati tra i suoi membri in qualità di mediatore;
- amministrare le intese e disciplinare la risoluzione delle controversie sulla base di norme e procedure prefissate.
Il WTO non opera secondo il criterio ‘un paese, un voto’, bensì attraverso il meccanismo del consenso, il quale non prevede l’unanimità, ma che nessun paese membro ponga obiezioni formali. Tale meccanismo incoraggia la proposta e l’adozione di decisioni largamente condivisibili, seppur implica l’allungamento dei tempi e la necessità di un gran numero di round negoziali. Il round che ha avuto inizio nel lontano 2001 a Doha, in Qatar, ha presentato fasi altamente conflittuali fra gli oltre 150 paesi partecipanti, senza tuttora raggiungere alcun accordo, nonostante una prima intesa multilaterale avvenuta nel 2013 a Bali.
Fattori di crisi: il bilateralismo americano
Dal secondo dopoguerra fino all’inizio del nuovo millennio, gli USA hanno ricoperto un ruolo di leadership nell’economia mondiale, sia per il loro peso economico, sia per la loro capacità di determinare i meccanismi di funzionamento dei mercati ed istituzioni mondiali, implementando un sistema di regole multilaterali generalmente accettate e condivise.
In particolare, il commercio internazionale ha fondato il suo sistema sul già citato GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) siglato nel 1947, evoluto nel 1995 proprio con la creazione del WTO.
Questo sistema ha saputo adattarsi ai cambiamenti dello scenario mondiale, spesso repentini e profondi, rimanendo centrale e sviluppandosi ulteriormente negli anni successivi al 1992, favorendo così l’apertura dei Paesi, anche perché USA e UE hanno sempre riconosciuto la sua rilevanza ed essenzialità.
Tuttavia, in questi ultimi anni il sistema di regole su cui si basa il WTO appare nettamente in crisi. Le principali potenze economiche e commerciali – in primo luogo UE, USA e Cina – agiscono nei fatti indipendentemente dalle regole dell’Organizzazione, minando seriamente la sua credibilità e operatività.
L’attuale Amministrazione statunitense ha avviato un deciso cambio di rotta nelle relazioni economiche internazionali, il presidente Trump persegue una strategia fondata su negoziati bilaterali, in chiaro contrasto con lo spirito del WTO, basato sul multilateralismo.
A muovere Donald Trump in questa direzione ci sono una serie di presupposti molto dubbi e criticati, ma ritenuti fondamentali dalla Casa Bianca. In primo luogo, vi è l’idea che il sistema normativo internazionale in vigore, che hanno fortemente contribuito a costruire, sia per gli USA fonte di danni e svantaggi.
Per molti questa posizione appare insensata: gli USA hanno sempre dominato i tavoli negoziali, ottenendo quasi sempre i risultati desiderati. In secondo luogo, Trump ritiene che gli scambi commerciali siano un “gioco a somma zero”, in cui chi guadagna lo fa esattamente a scapito di qualcuno che perde.
Ma l’andamento dell’economia mondiale mostra come questa idea sia infondata. La forte spinta verso la globalizzazione è sorta propria grazie alla possibilità dei diversi Paesi di ottenere benefici dalle loro differenti posizioni geo-economiche, attuando una maggiore integrazione economica con il resto del mondo.
E il generale aumento degli standard di vita e la riduzione della povertà a livello mondiale, nonostante i numerosissimi punti critici e la distribuzione fortemente ineguale dei vantaggi, mostrano come questi benefici si siano realizzati.
Tuttavia, è anche vero che all’interno dei singoli Paesi si è registrata un’ulteriore distribuzione ineguale dei costi e dei benefici fra alcune categorie di imprese e lavoratori, e su questo si basa e alimenta la retorica di Trump.
In terzo luogo, Trump, sull’onda di uno spirito nazionalistico, ritiene che gli USA godano ancora di una netta posizione di forza, molto più spendibile e valorizzabile in un confronto bilaterale piuttosto che multilaterale. Anche questo presupposto nel XXI secolo non è necessariamente verificato.
Il peso dell’economia statunitense è diminuito in valore relativo, la sua interdipendenza rispetto agli altri Paesi è aumentata e i negoziati avvengono nel contesto di mercati sempre più competitivi a livello globale, all’interno di un quadro geopolitico complesso e frammentato, in cui gli USA non godono più del passato potere di influenza e controllo.
La guerra commerciale in corso fra USA, UE e Cina è ovviamente una sconfitta e una minaccia per le istituzioni del WTO, le quali non solo hanno visto calpestare unilateralmente le sue norme e principi, ma si scoprono anche scarsamente in grado di svolgere il propri ruoli di risolutore, giudice e mediatore.
Anzi, l’Organizzazione si scopre facilmente preda e strumento involontario dei tre protagonisti della scena commerciale mondiale. La Cina è accusata da USA e UE di manipolare le regole degli scambi commerciali a suo vantaggio, ma allo stesso tempo la Cina è uno dei paesi con il maggior numero di controversie aperte contro altri stati presso la WTO.
Numerose controversie sono aperte, ed altre se ne apriranno, fra UE e USA. La guerra dei dazi, iniziata nel marzo dello scorso anno, ha generato una serie piuttosto corposa di ritorsioni economiche, politiche e “legali” tra i principali attori economici mondiali.
La guerra dei dazi viola le norma del WTO?
L’iniziale imposizione statunitense di dazi e le successive risposte cinesi ed europee godono della copertura legale all’interno del sistema del WTO? Indubbiamente violano lo spirito dell’Istituzione, ma il giudizio non è così immediato.
Il WTO permette l’esistenza di un “protezionismo controllato”, ovvero una serie di eccezioni, raggruppabili in due categorie, che consentono l’applicazione di dazi e tariffe doganali pur rimanendo responsabilmente all’interno del suo quadro normativo.
La prima categoria è rappresentata dalle tre differenti “misure di difesa commerciale”: misure antidumping, antisovvenzioni e misure di salvaguardia applicabili al termine di inchieste e procedure regolamentate dal sistema di norme dell’Organizzazione.
La seconda categoria riguarda invece le misure necessarie a proteggere specifici interessi meritevoli di tutela: salute, ambiente, sicurezza nazionale. A differenza della prima, qui non vige l’obbligo di procedere a specifiche inchieste interne.
I dazi imposti da Trump su alluminio e acciaio rientrano in questa seconda categoria: gli USA li ritengono utili alla protezione della sicurezza nazionale e il WTO non può “impedire a nessuna parte contraente di intraprendere azioni che ritiene necessarie per la tutela dei suoi interessi essenziali di sicurezza”, e solo gli Stati Uniti possono decidere ciò che è richiesto per proteggerli. Dunque le sue azioni sono valide secondo le regole WTO, e non possono essere imposte e rivendicate ritorsioni.
Paradossalmente, chi risulta aver violate le suddette regole sono Canada, Cina, Messico e UE, dal momento che hanno agito interamente in maniera unilaterale nella rappresaglia alla mossa di Trump, senza aver portato la questione davanti all’organo di risoluzione delle controversie della WTO. E non è per ironia che gli USA hanno già da mesi chiesto all’Organizzazione una verifica su questa violazione.
I dazi annunciati dagli Stati Uniti nel quadro del confronto Airbus-Boeing hanno una natura differente, ma riflettono gli stessi elementi di crisi del sistema commerciale internazionale. Si tratta di misure autorizzate da un arbitrato istituito fra le due potenze commerciali, che danno la facoltà agli USA di imporre dazi aggiuntivi, fino a 7,5 miliardi di dollari, nei confronti delle importazioni UE, a conclusione di una controversia iniziata nel lontano 2004 e riaffiorata con nuove aggressività nel 2011. L’Organo di Soluzione della WTO ha dato ragione agli States, giudicando i sussidi europei ad Airbus illegittimi secondo le sue norme in materia di competizione e ritenendo inadatte, come suggerito dagli Stati Uniti stessi, le misure compensative adottate dall’UE già nel 2011, a seguito di una prima pronuncia. Rimane ancora pendente, invece, la controversia aperta dalla UE nei confronti dei sussidi statunitensi versati a favore di Boeing.
Nel sistema WTO le contromisure commerciali possono essere autorizzate solo dopo che uno Stato abbia mancato di adottare le misure necessarie per adempiere ad una decisione definitiva dell’Organo di Soluzione delle controversie. Oggi, dopo la pronuncia della decisione arbitraria a favore degli USA, questi ultimi possono procedere in tutta correttezza all’attuazione delle ulteriori misure protezionistiche, fatto salvo qualsiasi futuro accordo fra le due parti.
Quale lezione per il futuro?
L’atteggiamento dell’attuale Amministrazione statunitense è di sostanziale indifferenza nei confronti della WTO, di cui si osteggia l’inutilità e dannosità nonostante venga utilizzata dalla stessa Washington per trarne netti vantaggi. E questo non senza snaturare e impoverire il tessuto di potere dell’Istituzione internazionale, che versa ormai in una situazione di sempre più evidente stallo. A contribuire a questo processo sono senz’altro anche gli altri grandi protagonisti mondiali.
L’Organizzazione, nata per lottare qualunque forma di protezionismo, permette attraverso le sue norme e organismi il perpetrare e l’accrescere di una guerra commerciale globale. È chiaro che siamo di fronte una nuova fase di transizione nel quale il sistema è obsoleto e va rivisto alla luce delle nuove dinamiche geopolitiche, economiche e sociali disegnate dagli ultimi due decenni.
È chiaro, d’altra parte, che la globalizzazione va governata: i mercati globali non si auto-regolano e gli equilibri raggiunti in assenza di interventi possono essere molto lontani dalle situazioni di ottimo o desiderate, portando a squilibri, politiche scorrette, processi di disuguaglianza crescenti, aggravarsi di problematiche ambientali, di diritti umani e civili. Di fronte alla crescente complessità, all’aumento delle interconnessioni e interdipendenze tra gli Stati, il governo dell’economia mondiale equivale alla definizione di regole condivise.
La storia della cooperazione internazionale del dopoguerra è caratterizzata da pazienti e lunghi negoziati desiderosi di costruire istituzioni, forse imperfette, ma che pongono al centro la capacità di sintetizzare i bisogni in un dialogo istituzionale fondato su norme condivise e accettate da quasi tutta la comunità internazionale. Se non si “condivide”, in questo mondo globalizzato, l’alternativa è la legge del più forte.