I saldi, o bilanci, settoriali indicano le entrate e le perdite di un sistema ecconomico statale a partire dai sottosistemi che lo compongono. Ogni economia statale può essere suddivisa in tre macrosettori, ossia quello Governativo (pubblico), quello Non Governativo (privato) e quello estero. Il primo comprende lo Stato centrale e le varie amministrazioni locali, il secondo si compone di individui, famiglie, imprese, assicurazioni e banche mentre l’ultimo riguarda il rapporto economico con le altre nazioni. Ognuno di essi presenta dei flussi finanziari in entrata ed in uscita e per questo vanno visti come interconnessi. Per il settore pubblico le uscite sono rappresentate dalla spesa pubblica (G) e le entrate dal prelievo fiscale (T). Il settore privato coinvolge, rispettivamente, gli investimenti (I) ed i risparmi (S). Infine, il settore estero interessa importazioni (M) ed esportazioni (X), a cui aggiungere i redditi esteri netti da lavoro e da capitale. Questo è stato teorizzato dall’economista britannico Wynne Godley ed implica l’impossibilità che tutti i macrosettori risultino in surplus e deficit allo stesso tempo. Formalmente, la teoria di Godley, con (o) che sta ad indicare il saldo complessivo, si esprime con
(I-S) + (G-T) + (X-M) = 0
A dimostrazione della validità di questa legge si può analizzare il seguente grafico, il quale mostra i dati sui saldi settoriali dell’Italia dal 1999 al 2012
Il settore privato (Non Governativo) non è in grado di creare ricchezza finanziaria al netto, quindi è necessario che vi sia qualcuno di esterno ad immettervi liquidità, ovvero gli altri due aggregati.
Nel 1981 l’economista Francese Guy Abeille, il quale era stato incaricato di individuare un criterio al fine di contenere la spesa pubblica dell’allora Governo Mitterrand, ha ideato il vincolo del 3%, secondo cui il rapporto deficit PIL non può mai superare il 3%. La regola venne creata senza alcun fondamento teorico, confrontando il deficit ed il PIL di allora. È diventata poi uno dei pilastri di Maastricht con Jean-Claude Trichet, direttore generale del Ministero del Tesoro Francese, il quale la propose nel 1991 nell’ambito dei negoziati. La situazione, tuttavia, risulta aggravata in seguito all’introduzione del pareggio di bilancio, sancito dal Fiscal Compact. Mantenere l’equilibrio tra entrate ed uscite comporta la necessità, per lo Stato, di compiere continui avanzi primari (tassazione, meno spesa pubblica, si va al lordo degli interessi sul debito pubblico), pratica che l’Italia persegue da diversi anni. Infatti, dal 1994 al 2013 l’Italia ha realizzato € 585 miliardi di avanzo primario, pari mediamente al 2,1% del PIL, contro gli € 80 miliardi della Germania (dal 1995 – 0,2% del PIL) ed i saldi negativi della Francia (- € 479 miliardi) e della Spagna (- € 270 miliardi). Il tutto non si è arrestato nel 2014, nel 2015 e nel 2016, chiusi con un surplus primario dell’1,6%/ PIL nel primo anno e dell 1,5% negli ultimi due.
Per comprendere la difficoltà nel rispetto del parametro sopra menzionato bisogna tener conto che lo 0% di deficit richiede il raggiungimento di un avanzo primario pari agli interessi pagati sul debito pubblico (4,0%/ PIL nel 2016). In assenza di una completa detenzione dei titoli di Stato in mano nazionale, ciò equivale all’impoverimento strutturale del settore Non Governativo. In questa condizione, per incrementare la ricchezza finanziaria si può puntare solo sul settore Estero. Tuttavia, trovandosi nell’ambito di un regime di cambi fissi, non è possibile realizzare una svalutazione competitiva. Di conseguenza, l’unico metodo per acquisire competitività consiste nel ridurre i costi di produzione, con conseguente dumping salariale. Si crea così una gara al ribasso che tende a comprimere la domanda interna. (Se vuoi saperne di più sui saldi settoriali clicca qui)