In un mondo cosi ampiamente caratterizzato dal concetto di bellezza è innegabile l’importanza estetica, nonché estatica, dell’arte. Ma l’arte, da due secoli a questa parte, non è più un campo chiuso a pochi esperti e mecenati.
Investire nell’arte
L’avvento della classe borghese e lo sviluppo dell’economia e della finanza hanno colpito anche il settore dell’arte, a prima vista così lontano, e si sono legati indissolubilmente ad esso. L’arte diventa quindi un bene mobile, sottostante a precise regole di mercato assolutamente particolari. Stiamo parlando di un mondo composto da milioni di persone a livello internazionale tra artisti, critici, mediatori, storici dell’arte, operatori commerciali, musei, gallerie private, collezionisti e molti altri. Questo mercato è un vero e proprio asset class che si distingue per la soggettività nello stabilire il valore di un’opera e una buona dose di rendimento-rischio. Gli investimenti in arte, allo stesso tempo, permettono lo sviluppo di portafogli diversificati attraverso i quali si riesce ad attutire il rischio, come osservato dall’economista americano Harry Markowitz. Nonostante l’orizzonte sia temporalmente più lungo della maggior parte degli investimenti (tempo medio-lungo), il rendimento è elevato: secondo William Goetzmann, dal 1900 al 1980 l’investimento in arte ha garantito un rendimento medio annuo superiore al 17%. Gli economisti calcolano che le opere d’arte hanno prodotto un guadagno annuale dello 0.55% in più rispetto al normale tasso di inflazione. I rendimenti si calcolano attraverso tre principali indici rappresentativi del mercato dell’arte. Il primo è il Mei-Moses Art Index, creato da Jianping Mei e Michael Moses, docenti di finanza alla New York University, che, costruito secondo solide metodologie econometriche, diventa un utile strumento (benchmark) di valutazione del portafoglio e di orientamento nelle scelte di asset allocation. Il secondo, invece, prende in considerazione il valore edonico, cioè il piacere, che l’opera suscita; mentre con il terzo metodo si attribuisce come termine di paragone un’altra opera. È di particolare interesse che se, da un lato, l’ampio sviluppo del mercato dell’arte negli ultimi anni è accostato all’ingresso di un nuovo tipo di compratore, più propenso all’investimento nel settore, in quanto impiega le plusvalenze derivanti da altri mercati, dall’altro il decremento degli andamenti di borsa generalmente corrisponde a un incremento del mercato dell’arte. Siamo davanti a un duplice fenomeno: in virtù di un nuovo approccio speculativo all’arte, i ricchi emergenti e le nuove classi medio-alte preferiscono investire la propria liquidità in opere d’arte, garantendosi l’esponenziale incremento dei valori che è ormai comune a questo particolare mercato. L’arte è dunque considerata un investimento sicuro e stabile anche nei momenti di crisi finanziaria, divenendo a pieno titolo un bene rifugio al pari di oro e immobili.
Le caratteristiche del mercato
Questo mercato viene classificato in pubblico, cioè con vendite gestite dalle case d’asta, e privato, caratterizzato dalla compravendita di opere e oggetti d’arte che avviene tra due soggetti privati o tramite l’intermediazione di un terzo, un gallerista per esempio, divenuto a tutti gli effetti un imprenditore che dovrebbe garantire l’immediatezza dell’intermediazione. Quest’ultima figura rientra in due tipologie: quella che si occupa di promozione culturale e della ricerca di nuovi artisti e quella che lavora solo con artisti che già conoscono empiricamente il mercato. Questo significa che, laddove domanda e offerta non siano concordabili, la presenza di un imprenditore che sia dotato di liquidità e di un magazzino dovrebbe garantirne il buon esito. Come il mercato di borsa, anche quello dell’arte si distingue in primario e secondario: il primario è quello in cui lo scambio di opere d’arte avviene tra il produttore-artista e il primo acquirente, in genere il gallerista e il collezionista o committente; il secondario è quello caratterizzato da successive transizioni, vendite pubbliche o private, di proprietario in proprietario, di una determinata opera.
Muovere i primi passi
Tradizionalmente gli investimenti nel mercato dell’arte erano considerati rischiosi e adatti a imprenditori e industriali che avevano già ottenuto la stabilità economica: questo perché il mercato seguiva fluttuazioni spesso imprevedibili e richiedeva un ingente capitale di partenza.
In tempi più recenti si è assistito però a un mutamento del mercato: benché fino a metà del Novecento gli artisti, prima di poter essere effettivamente quotati, dovevano essere accettati dalla critica e dalle istituzioni, nella seconda metà del secolo campagne di marketing mirate e speculazioni da parte di mercanti e galleristi hanno portato all’esplosione di numerose bolle speculative su artisti senza alcun riconoscimento accademico.
E’ il caso di Damien Hirst, capofila degli Young British Artists, divenuto il secondo artista più quotato al mondo grazie all’amico e protettore Charles Saatchi, che ne curava l’immagine.
Spesso il piccolo investitore e le nuove gallerie non sopravvivono a questi cambiamenti repentini; numerosi artisti emergenti sono stati condannati da speculazioni sul loro nome, che portavano le loro opere da poche migliaia di euro a decine di migliaia, svalutandosi subito dopo.
Il piccolo investitore deve quindi studiare attentamente il mercato prima di gettarsi a capofitto e deve trovare esperti nel settore su cui basare il proprio investimento. In tutto questo, la bellezza dell’investimento in arte consiste nel valore emotivo e soggettivo dell’opera e nella soddisfazione, non solo finanziaria, che può riservare ai collezionisti.
Scritto da: Roberto Romano