In questa nuova rubrica, Starting Finance ha deciso di occuparsi di startup: cosa sono, quali prospettive hanno e dove si trovano?
Ormai da anni sulle pagine dei quotidiani o nel corridoio delle testate giornalistiche si sente parlare di un fenomeno sempre più in crescita, quello delle startup. Molti studenti universitari non sognano più di lavorare per un’azienda, ma di dare vita a una startup, come se quest’ultima potesse essere simile ad una ricerca liceale che «se parte, bene, se invece non funziona prendiamo l’insufficienza e ci vediamo alla prossima».
Per citare Neil Blumenthal, cofounder and CEO di Warby Parker, una startup è “una compagnia che lavora per risolvere un problema dove la soluzione non è ovvia e il successo non è garantito”. Su un piano prettamente economico, si definiscono startup “imprese o società di capitali dall’organizzazione temporanea in cerca di un business model ripetibile e scalabile”; così le descrive Steve Blank, imprenditore statunitense.
Cerchiamo di fare chiarezza: in questa definizione la scalabilità è una caratteristica fondamentale e imperativa, dal momento che se pensiamo ad un bar (per fornire un esempio di attività non scalabile), non ci viene di certo in mente una startup di carattere innovativo. In ogni caso l’apertura di un bar richiede spesso meno fatica e spese. Pensiamo a Marco, un classico studente di Economia che, nel corso dei suoi studi, viene illuminato da un’idea brillante e sensazionale. Cosa può farsene? Oppure spostiamo la nostra attenzione su Ilaria, studentessa di Ingegneria delle Nanotecnologie, la quale crea un progetto innovativo su un piano totalmente teorico, ma che, a suo dire, potrebbe avere grandi potenzialità nella pratica. Cosa hanno fatto decine o centinaia di ragazzi come loro per fondare una startup? Sono andati alla ricerca di capitali. Queste startup comprendono quindi tutte le spese relative alla costituzione di una società e agli investimenti strutturali (arredamento degli uffici, impianti, macchinari…), gli stipendi, il materiale di consumo e il capitale proprio. Non basta spesso sviluppare un’idea e avere qualche conoscenza di programmazione, ma bisogna chiedere l’intervento di capitale, competenze e appoggio altrui. In primo luogo serve dunque strutturare un “preventivo finanziario“, per comprendere le immobilizzazioni necessarie all’avvio dell’attività nonché il capitale necessario per sostenere i costi di gestione iniziali: in sostanza, quanti soldi servono. Ad esso segue quello che viene definito “preventivo delle vendite“, ovvero comprendere e determinare i ricavi futuri dell’attività, porsi obiettivi e individuare possibili minacce alle previsioni fatte. A questo punto si giunge al “preventivo economico“, un prospetto costi-ricavi con il quale si determina l’utile della futura attività. In ultima analisi, non resta che valutare una serie di indicatori impacchettati e serviti per misurare la redditività di un’impresa: il ROI (Return on Investment) e il ROE (Return on Equity), nonché le redditività del capitale proprio e di quello investito. Lasciando da parte la teoria, è facile immaginare quanta pressione venga posta su un possibile fondatore. Infinite responsabilità, a partire dall’onore personale fino ad arrivare a qualcosa di molto più materiale, il capitale proprio e altrui. Ed è per questa ragione che nel 2015 il presidente di uno degli acceleratori più famosi al mondo, Y Combinator, ha scritto che sui fondatori di startup viene fatta molta pressione affinché questi non mostrino mai segni di debolezza.
Dall’analisi dei dati relativi ad un pacchetto piuttosto ampio di startup italiane è emerso che in media il numero dei dipendenti è inferiore a due, la metà di queste aziende neonate riesce al più a coprire i costi di gestione e l’altra metà incassa circa 300€ al giorno, ovvero come un piccolo negozio di alimentari. Il giornalista Dan Lyons ha scritto che le startup puntano più su apparenza e pubblicità che sul servizio offerto, il quale diventa spesso scadente e privo di valore. Al tempo stesso capita che molti dipendenti vengano obbligati ad un ritmo di lavoro proibitivo, consci di poter essere licenziati e rimpiazzati con facilità. Tuttavia, se da una parte i rischi e le pressioni associati alle startup e ai loro fondatori sono più che destabilizzanti, dall’altra vi sono realtà emergenti che riescono a sostenerli e che presentano un grande potenziale, non solo sulla carta. Sono proprio queste, ovvero le migliori startup sulla scena nazionale ed internazionale, che andremo ad analizzare. Il criterio è prettamente oggettivo, ovvero saranno prese in considerazione quelle società che mostrano il più alto fatturato o i più elevati finanziamenti ricevuti. Analizzeremo tutte quelle aziende ricche di innovazione, che hanno uno sguardo fresco e anticipatore del futuro.
Paolo Piparo