Il mancato incasso
Una delle maggiori cause di problemi di liquidità è il mancato incasso dei crediti. La crisi di liquidità è il principale male delle PMI e dei professionisti, che spesso non riescono a gestire adeguatamente i pagamenti con gli incassi, ricorrendo cosi in numerosi problemi gestionali. Questi problemi possono compromettere la veridicità del bilancio, infatti non svalutando i crediti ormai ritenuti inesigibili e con remota possibilità d’incasso si commette un falso di bilancio, poiché quest’ultimo risulterebbe più in salute, ritrovandosi quindi ad affrontare anche conseguenze di tipo penale. Vediamo quindi come è possibile procedere al recupero crediti.
La questione IVA
Il primo problema collegabile al mancato incasso è stata la questione IVA, ovvero il versamento dell’imposta a prescindere dall’incasso del credito. Per anni questo è stata una questione molto rilevante soprattutto per i crediti verso le pubbliche amministrazioni. Il legislatore, in soccorso delle imprese con un volume d’affari inferiore a 2 milioni di euro (PMI), ha introdotto il regime opzionale IVA per cassa, che in sintesi consente di versare l’imposta solo al momento dell’effettivo incasso, ma non oltre un anno dalla data emissione della fattura.
Il recupero crediti
In questo scenario si sta sempre più ampliando il business del recupero credito. Dobbiamo però prestare molta attenzione al soggetto che si incarica di questa operazione. Sul mercato infatti troviamo diversi tipi di operatori:
- Le società di recupero credito. Spesso sono quelle meno onerose, ma a parere di molti il modus operandi di quest’ultime eccede alcuni limiti, sono state infatti riconosciute lesioni dei diritti della persona, come ad esempio telefonate minatorie e con contenuto completamento errato, anche commettendo delle illegittimità. Le commissioni sul recuperato sono in media del 15-25%.
- Gli avvocati. Spesso si ci rivolge quasi esclusivamente in via giudiziaria ma niente vieta di rivolgersi per solleciti e rapporti bonari, quindi in ambito non legale.
- Altri mediatori (esclusivamente in via non legale). Il creditore stesso ad esempio può proporre un piano di rientro del credito a rate.
Quindi esistono 2 strade percorribili: quella stragiudiziale e quella giudiziaria, tipicamente nella prassi la seconda succede alla prima in caso di fallita negoziazione.
La strada stragiudiziale
Nella stragrande maggioranza dei casi la via stragiudiziale conduce al miglior risultato sia in termini di successo che in termini di costi. Il creditore infatti può negoziare con il debitore il rientro del credito che vanta, proponendo diverse forme, come ad esempio un saldo e stralcio oppure un rateizzo, se il debitore collabora, si chiude la questione e in buona parte dei casi non si interrompe il rapporto commerciale tra i 2 soggetti. Nel caso in cui il debitore si ostini a non collaborare gli atti successivi sono la messa in mora, solleciti e diffide ad adempiere, trascorso invano il termine di quest’ultima tipicamente 15 giorni, si passa al giudiziale.
La messa in mora
E’ un atto formale dove si intima il debitore a pagare il suo debito entro una certa data, con l’inizio della maturazione degli interessi di mora in caso di inadempienza. Due sono gli effetti importanti della lettera di messa in mora:
- Evitare la prescrizione del diritto di credito. Infatti se per inerzia del creditore sono trascorsi 10 anni o in alcuni casi meno (dipende dalla tipologia del credito) il debitore non è tenuto più a pagare il debito, poiché il diritto del creditore viene meno.
- Avviare la procedura di recupero del credito per via giudiziale.
La lettera deve essere inviata tramite ricevuta A\R anche mediante un legale.
La strada giudiziale
In conseguenza all’improduttiva fase stragiudiziale, si può dare inizio alla fase giudiziale, caratterizzata da maggior onerosità e tempi più lunghi. Il modus operandi è il seguente:
- Il deposito di un ricorso per decreto ingiuntivo. Il deposito oggi avviene in via telematica e si tratta di un ordine di pagamento giudiziale, quindi emanato dal giudice, a seguito del deposito in cancelleria di un titolo che testimonia il diritto al credito (es: fattura). Una volta notificato il debitore, quest’ultimo avrà 40 giorni per fare opposizione, fatta questa azione si instaura una causa ordinaria con tempi di circa 2-4 anni, nel caso non faccia opposizione il decreto diventa esecutivo e consente al creditore di iniziare l’esecuzione forzata nei confronti del debitore.
- Esecuzione forzata sui beni. Sia nel caso in cui il debitore abbia fatto opposizione, sia nel caso di omessa opposizione, il giudice può disporre l’esecuzione forzata sui beni del debitore, nel primo caso questo avviene tipicamente dopo circa 5 mesi successivi alla prima udienza. Una delle operazioni più disposte nella prassi è il blocco dei conti correnti che tipicamente ha effetti più immediati di un semplice pignoramento.
Fonti: Abbrevia, Factalex, Studio Pandolfini