Per illusione monetaria si intende la propensione delle persone a pensare alla valuta in termini nominali piuttosto che in termini reali, ovvero senza tenere conto della mutevolezza del valore di una moneta.
Si prendano, per esempio, in considerazione due individui, Marco e Paolo, che si sono laureati nella stessa università a distanza di alcuni anni. Dopo la laurea, entrambi hanno iniziato a lavorare nella stessa posizione in aziende simili. Marco ha iniziato con uno stipendio annuo di 30.000 €. Durante il suo primo periodo di lavoro non c’è stata inflazione e Marco, dopo un anno, ha ricevuto un aumento dello stipendio del 2% (600 €). Anche Paolo ha iniziato con uno stipendio di 30’000 € ma, mentre lui lavorava, l’inflazione è aumentata del 4%. Dopo un anno anche lui percepì un aumento del salario, questa volta del 5% (1’500 €). Ad essere aumentato di più, in realtà, è il potere di acquisto di Marco e non di Paolo, come potrebbe apparire.
Un esempio simile è stato proposto nel 1997 dal trio Shafir, Diamond e Tversky, durante un esperimento finalizzato a spiegare i meccanismi psicologici alla base dell’illusione monetaria. Ad un gruppo di persone fu chiesto chi dei due fosse diventato più ricco. Il 36% degli intervistati rispose Marco, mentre il 64% Paolo. Questo dato indica che le preferenze sono spesso influenzate dalle variabili nominali più che dal valore reale. Tra i primi a studiare questa “trappola mentale” fu l’economista statunitense Irving Fisher nel 1928. Fisher si accorse della tendenza delle persone di considerare la moneta come se avesse un valore fisso, che non si contrae o si espande nel tempo.
Colpa dei bias cognitivi
In un primo momento la teoria dell’illusione monetaria del 1928 fu accantonata in quanto ritenuta da molti economisti irrilevante. Questa sarà però ripresa da alcuni ricercatori, che cercarono di spiegare i bias cognitivi, ovvero i giudizi irrazionali, alla base di questo fenomeno.
Framing effect
Il principale bias cognitivo responsabile dell’illusione monetaria è il framing effect. Il concetto è stato introdotto da Tversky e Kahneman nella loro “Prospect Theory” del 1979. Per l’effetto framing le decisioni prese dall’ individuo differiscono a seconda dei termini e delle modalità con cui una stessa questione viene posta.
Anchoring Effect
Una particolare forma di effetto framing è l’Anchoring Effect, ovvero la tendenza a fare affidamento sulla prima informazione disponibile nel momento in cui si deve prendere una decisione. In altre parole, è stato mostrato come le persone facciano stime sul valore di un determinato bene, partendo da un certo valore iniziale e restando “ancorati” ad esso. Questo meccanismo è utile per il marketing, nel momento in cui si deve mettere un nuovo prodotto sul mercato. Infatti, stabilire un prezzo alto all’inizio, può scoraggiare un potenziale cliente dall’effettuare l’acquisto. Tuttavia, quando dopo il venditore stabilirà un prezzo più basso, quello più alto funge da “ancoraggio”, rendendo il nuovo prezzo più allettante.
Parola agli esperti
Mentre gli individui capiscono che l’inflazione fa aumentare i prezzi dei beni che acquistano, spesso trascurano gli effetti indiretti che la stessa può provocare. Ad esempio, il premio Nobel R. Shiller ha osservato attraverso un sondaggio che le persone non ritengono che i salari nominali e l’inflazione siano correlati nel lungo periodo. Questa disattenzione verso gli “effetti indiretti” può essere collegata ad un altro tipo di bias cognitivo: il mental accounting.
Mental accounting
Il mental accounting è un concetto, anch’esso appartenente all’economia comportamentale, proposto dall’economista R. H. Thaler. Secondo questa teoria le persone classificherebbero il proprio denaro in differenti modi. Questo li conduce a prendere decisioni irrazionali per le loro spese e investimenti. Per comprendere meglio, lo stesso autore afferma nel suo paper “mental accounting matters”, del 1999, che le persone dovrebbero valutare un dollaro nello stesso modo sia se è stato guadagnato con il lavoro sia se è stato trovato. Tuttavia, questo principio viene spesso violato, infatti è sufficiente pensare ad un “rimborso fiscale”. Questo viene generalmente considerato come un guadagno o “denaro trovato” che il proprietario si sente di spendere come fosse stato un regalo, mentre si tratta di soldi che prima sono stati presi dal suo conto.
Attraverso questo tipo di bias vengono trascurati i collegamenti tra queste “classi” mentali. Le persone ignorano il fatto che un’inflazione alta influenza, per esempio, il tasso di interesse del mutuo e il tasso di crescita del reddito in modo simmetrico.
Gli effetti sul mercato azionario
Negli anni sono stati condotti numerosi studi sull’impatto che l’illusione monetaria potrebbe avere sull’economia reale. In particolare, sono stati maggiormente studiati gli effetti che può provocare nel contesto immobiliare (vedi Brunnermeier e Julliard, 2007) e sul mercato azionario.
Per quanto riguarda quest’ultimo è importate menzionare il contributo del 1979 degli economisti Modigliani e Cohn che ipotizzano che gli investitori del mercato azionario soffrono molto di illusione monetaria.
In contesti inflattivi, l’illusione monetaria può influenzare il comportamento degli investitori e indurli a compiere errori di valutazione da cui derivano la sottovalutazione o sopravvalutazione degli asset. Le ragioni alla base di ciò posso essere ricondotte a due elementi: la tendenza a capitalizzare equity earnings al tasso nominale piuttosto che al tasso reale e l’incapacità di comprendere che nel tempo i debiti si svalutano in termini reali.