L’andamento quotidiano degli indici azionari delle principali borse mondiali è un dato fra i più noti ed evidenti: gli incrementi (o le perdite) percentuali degli indici azionari al momento della chiusura della giornata di borsa, o, ancora meglio, della settimana, vengono utilizzati per commentare “a caldo” gli avvenimenti che hanno mosso i mercati. Ma come sono composti gli indici? Scopriamo quali sono gli elementi da tenere in considerazione per interpretare correttamente i risultati delle borse.
Indici: composizione e tipologie
Per dare una prima definizione, un indice azionario è un insieme di titoli rappresentativo di un certo settore del mercato finanziario, cioè “raccoglie” le performance dei titoli che lo compongono e ne sintetizza l’andamento. Ma quali titoli includere per costruire un indice? Distinguiamo due tipi principali di indici azionari:
- Indici generali: includono la totalità dei titoli quotati su un certo mercato (per la borsa italiana, il FTSE Italia All Shares)
- Indici parziali: comprendono solo una parte dei titoli quotati su un certo mercato, selezionando solo quelli di aziende di certi settori (ad esempio il FTSE Italia Banche sintetizza l’andamento dei titoli degli istituti creditizi) oppure di aziende ad elevata capitalizzazione, le cosiddette “blue chip” (è il caso del noto FTSE Mib).
Una volta scelti quanti e quali titoli includere nell’indice, occorre stabilire la modalità di calcolo della variazione dei prezzi dei singoli titoli per giungere alla variazione dell’indice. Un semplice esempio spiega le possibili soluzioni a questo problema:
Immaginiamo di avere un mercato azionario molto semplice, su cui sono quotati solo tre titoli, A, B e C, raggruppati nell’indice X. I tre titoli hanno prezzo e capitalizzazione diversi e subiscono variazioni dei prezzi da una giornata all’altra:
Prezzo (Ieri) | Numero Azioni (Ieri) | Capitalizzazione
(prezzo x numero azioni) (Ieri) |
Prezzo (oggi) | Numero Azioni (Oggi) | Capitalizzazione (Oggi) | Variazione percentuale | |
Titolo A | 1,00€ | 40 | 40 | 1,00€ | 40 | 40 | 0% |
Titolo B | 1,00€ | 20 | 20 | 0,95€ | 20 | 19 | -5% |
Titolo C | 0,5€ | 80 | 40 | 0,55€ | 80 | 44 | +10% |
Totale | 2,5€ | 100 | 2,5€ | 103 |
Il titolo A non ha subito variazioni del prezzo mentre il prezzo del titolo B è diminuito del 5% e quello del titolo C è aumentato del 10%: quanto dovrebbe essere variato l’indice X che racchiude A, B e C? Dipende da come vogliamo costruire il nostro indice:
- Indici equally weighted: una prima soluzione potrebbe essere quella di dare lo stesso peso (1/3) alla variazione dei tre titoli, ottenendo dunque una media aritmetica delle variazioni percentuali. La performance dell’indice X sarebbe:
X = (1/3) * 0% + (1/3) * -5% + (1/3) * 10% = +1,67%
Avrete però sicuramente notato che in questo modo stiamo dando lo stesso peso al titolo A e al titolo B, nonostante la capitalizzazione di quest’ultimo sia la metà del primo: ciò significa che in realtà il titolo B è molto meno influente e importante nel nostro mercato.
- Indici price weighted: potremmo anche pensare di ponderare l’indice per il prezzo dei singoli titoli, ovvero di assegnare a ciascun titolo un peso proporzionale al suo prezzo:
essendo il prezzo totale dell’indice pari a 2,5 i titoli A e B avranno una ponderazione di 1/2,5 = 0,4 e il titolo C di 0,5/2,5=0,2 e la variazione dell’indice sarà
X = 0,4 * 0% + 0,4 * -5% + 0,2 * 10% = 0%
Anche con questo criterio otterremmo un risultato distorto, poiché ci possono essere azioni il cui prezzo di un singolo titolo è effettivamente alto, ma la cui capitalizzazione è bassa e dunque, come nel caso precedente, assegneremmo un’importanza eccessiva a titoli in realtà poco influenti sul mercato. Nonostante gli indici price weighted possano sembrare apparentemente irrazionali per questo motivo, due importanti indici azionari, il Dow Jones della borsa di Wall Street e il Nikkei di Tokyo, sono costruiti così.
- Indici value weighted: è sicuramente il metodo di costruzione degli indici più adatto e diffuso, poiché utilizza come fattore di ponderazione la capitalizzazione dei titoli rispetto alla capitalizzazione complessiva dell’indice. Nel nostro esempio, essendo 100 la capitalizzazione complessiva iniziale, la variazione dell’indice sarà:
X = 40/100 * 0% + 20/100 * -5% + 40/100 * 10% = 3%
Un’ulteriore evoluzione sarebbe quella di considerare solo la parte della capitalizzazione complessiva effettivamente oggetto di scambi, ovvero il flottante.
Oltre ad aver evidenziato i pregi e i difetti dell’uno e dell’altro metodo di costruzione degli indici, è molto evidente quanto siano diversi i risultati che si ottengono: l’indice X può aver chiuso la giornata con un +1,67% o uno 0% o un +3% a seconda del metodo scelto!
Un’ultima differenza fra gli indici azionari riguarda il calcolo dei dividendi pagati dai titoli nell’indice: esistono gli indici di prezzo che non considerano i dividendi mentre quelli cosiddetti di performance (o “total return”) li computano nel risultato. Il differente trattamento dei dividendi è molto importante poiché gli indici di prezzo considerano lo stacco di dividendi come perdita di valore di un titolo, ovvero come se “un pezzo” del titolo fosse ceduto; di conseguenza, nel giorno dello stacco di un dividendo, il prezzo del titolo scende secondo questo criterio e, se nella stessa giornata molti titoli inclusi nell’indice pagano un dividendo, l’indice quel giorno scenderà per questo dettaglio tecnico ma senza apparente motivo. Viceversa, gli indici di performance considerano il dividendo come parte del valore del titolo. Tutti gli indici del mondo sono generalmente rappresentati come indici di prezzo ma fa eccezione l’indice della borsa di Francoforte, il DAX 30.
Importanza
Gli indici infatti svolgono due fondamentali ruoli nelle scelte di investimento e riguardando sia la gestione passiva che attiva dei portafogli (sull’argomento vedi questo nostro articolo):
- Per i fondi passivi gli indici sono il riferimento assoluto, poiché la particolarità di questi prodotti di risparmio (ETF, fondi indicizzati) è proprio quella di replicare esattamente l’andamento di un indice.
- Per i fondi attivi invece, l’indice svolge il ruolo di benchmark, ovvero di parametro di riferimento: esso serve a valutare la performance del gestore attivo, il cui scopo è quello di “battere” un determinato indice a fine anno.
Si capisce quindi che, data soprattutto la crescente importanza della gestione passiva, la scelta di questo o quell’indice può fare la differenza. Proprio per questo gli indici/benchmark devono rispettare requisiti di rappresentatività (del mercato di riferimento), replicabilità, oggettività e trasparenza. Le società che si occupano di calcolare e aggiornare tempestivamente gli indici sono dette index provider e le principali nel mondo sono: MSCI, FTSE Russell (che gestisce, fra gli altri, l’italiano FTSE Mib e FTSE100 del London Stock Exchange) e la S&P Dow Jones Indices, che naturalmente è responsabile dell’S&P500 e del Dow Jones Industrial Average, i noti indici di Wall Street.
In conclusione, per avere una marcia in più come investitori e amanti della finanza, è importante che conosciamo i criteri con cui è composto ciascun indice, perché abbiamo visti che questi saranno determinanti nella sua performance e quindi in quella dei nostri investimenti.