L’intelligenza, intesa come punteggio QI, influisce per il 30% sul reddito secondo uno studio statistico dell’economista statunitense Jay L. Zagorsky. Nell’articolo accademico Do you have to be smart to be rich? The impact of IQ on wealth, income and financial distress, pubblicato nel 2007, il ricercatore della Boston University ha preso in esame i dati di 9.964 cittadini USA nati fra il 1957 ed il 1954. Si trattava di partecipanti del programma per la raccolta dati National Longitudinal Survey of Youth (NLSY) del 1979, sottoposti da quell’anno ad una serie di questionari, fra cui anche test per stimare l’intelligenza.
Zagorsky, quindi, al fine di osservare l’effettiva influenza dell’intelligenza sulla ricchezza, ha analizzato come il QI ed altri fattori sono più o meno correlati dal punto di vista statistico, al patrimonio, all’affidabilità creditizia e, soprattutto, al reddito. Quest’ultimo è di gran lunga l’elemento più significativo, in quanto il patrimonio dipende spesso in buona parte dalla famiglia di origine e l’affidabilità finanziaria deriva dalla combinazione di reddito e patrimonio.
La conclusione di Zagorsky
Secondo Zagorsky la correlazione statistica dell’intelligenza con la ricchezza, pur essendo presente, ha un peso limitato. Nonostante sia uno dei maggiori fattori, infatti, ad essa si uniscono altri elementi, in particolare l’istruzione ed il contesto sociale di provenienza. Quindi non è possibile prevedere, nemmeno in modo approssimativo, il futuro reddito di una persona a partire solo dal suo QI. Il ricercatore, infatti, ha osservato che, negli individui presi in esame, ogni punto del QI corrispondeva ad una cifra fra i 234 ed i 616 dollari di reddito annuale, un divario troppo alto per avere un reale valore predittivo.
Il metodo utilizzato
Per analizzare il legame fra reddito ed intelligenza è stato usato l’indice di correlazione di Pearson, uno strumento statistico che serve a misurare la correlazione fra due dati numerici. Questo può essere compreso fra 1, rapporto direttamente proporzionale, e -1, rapporto inversamente proporzionale. I due estremi indicano una correlazione del 100%, ovvero quando al variare del valore di partenza varia sempre anche l’altro. Lo zero, invece, si ha quando i due dati risultano del tutto indipendenti fra loro.
Per misurare l’intelligenza dei partecipanti, in realtà, non è stato utilizzato il test del Quoziente Intellettivo ma l’Armed Forces Qualification Test, di solito usato per verificare l’idoneità delle aspiranti reclute delle forze armate. Tuttavia, esso applica metodi analoghi a quelli del QI, per cui i due modelli di valutazione sono considerati equivalenti ed i punteggi di uno possono essere usati per ricavare quelli dell’altro.
L’analisi dei dati
Zagorsky, elaborando i dati dell’NLSY 1979, ha ricavato l’indice di Pearson sulla relazione del reddito con il QI e altri fattori. L’elemento più importante, con lo 0,32 (correlazione del 32%), è il titolo di studio, seguito dal QI, con lo 0,30 (correlazione del 30%). Il terzo fattore di maggior peso, ma questa volta con proporzionalità inversa, è l’appartenenza al gruppo degli afroamericani, che hanno un indice di correlazione di -0,12 (correlazione del 12%). Gran parte degli attributi presi in esame nel loro legame di causa-effetto con il reddito hanno mostrato un indice di correlazione quasi nullo.