Verso la riforma fiscale
Se l’anno passato il fenomeno più discusso è stato la Flat Earth, nel 2018 l’argomento all’ordine del giorno è la Flat Tax. Come al solito, in tempi di campagna elettorale, un punto che non può mai mancare è proprio quello della riduzione del prelievo fiscale. La Flat Tax sembra essere il modo più concreto per realizzare tale promessa: in molti, tra le file degli elettori, hanno accettato questa idea come la panacea ai mali che affliggono l’economia italiana. Il sentimento diffuso è che il sistema attuale di tassazione sia decisamente oppressivo e limiti la crescita del Paese. Ma al di là della propaganda politica, è difficile valutare un sistema alternativo se non si conosce il funzionamento di quello ancora oggi in vigore.
Il sistema tributario italiano
Quando ci riferiamo al sistema tributario italiano alludiamo al risultato delle riforme avvenute in Italia intorno agli anni ’70 ed particolare alla riforma Visentini del 1973, che rispose all’esigenza di migliorare il sistema delle imposte, all’epoca molto frammentato e caratterizzato da un peso eccessivo delle imposte indirette. L’obiettivo era di ridurre queste ultime e introdurre un’unica imposta diretta personale informata a criteri di progressività: nacque così l’imposta sul reddito delle persone fisiche, nota con l’acronimo IRPEF. L’idea era quella di ricondurre a tassazione qualsiasi forma di reddito, in linea con il concetto di “reddito onnicomprensivo”. Il progetto era ambizioso, ma già agli albori presentò dei difetti che sarebbero rimasti nel tempo.
IRPEF
L’IRPEF è un’imposta personale progressiva sul reddito complessivo delle persone fisiche. Insieme ad IRES ed IVA, concorre a formare circa il 70% del gettito per lo Stato italiano. L’obiettivo di tale imposta è tassare il reddito monetario effettivo ed individuale del contribuente.
Le categorie di redditi assoggettati ad IRPEF sono:
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Reddito da lavoro dipendente e pensioni.
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Redditi da lavoro autonomo.
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Redditi d’impresa (per imprese individuali e società di persone).
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Redditi fondiari.
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Redditi da capitale (interessi, dividendi, rendite vitalizie).
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Redditi diversi (tale categoria riguarda principalmente il trattamento delle plusvalenze).
La somma di tutti i redditi riconducibili all’individuo concorre a formare il “reddito complessivo”, al quale devono poi essere sottratte le deduzioni previste dall’ordinamento; si ottiene così il reddito imponibile a cui applicare le aliquote marginali. Il combinato dell’aliquota marginale (23%, 27%, 38%, 41%, 43%) con la base imponibile calcola l’imposta lorda, ma solo in seguito all’applicazione delle opportune detrazioni si ottiene la somma che dovrà effettivamente essere versata allo Stato. Va ricordato inoltre che il nostro sistema fiscale segue la progressività per scaglioni e non per classi come spesso si sente dire.
Le criticità
Il procedimento appena illustrato presenta numerose eccezioni. In primis occorre esaminare il trattamento dei redditi da capitale e diversi: la maggior parte di essi non concorre a formare il reddito complessivo, ma è assoggettata ad aliquote sostitutive (generalmente del 26%). La ragione è che il capitale è un fattore estremamente mobile e la conseguenza di una sua tassazione eccessiva è spesso il cosiddetto “capital flight” (la fuga dei capitali). Ciò rappresenta una prima criticità al sistema di imposta, in quanto, paradossalmente, i redditi da lavoro sono tassati molto più di quelli da capitale, che sono attribuibili tendenzialmente ai ceti più ricchi. Discorso simile vale anche per i redditi fondiari i quali, oltre ad essere caratterizzati da elementi di normalizzazione, finiscono per essere tassati con aliquote di gran lunga inferiori.
A ciò si aggiunge che l’IRPEF è un’imposta molto evasa; ci si accorge dunque che, in accordo con le recenti statistiche, circa l’85% di tutto il reddito ricondotto a tassazione in sede IRPEF proviene da lavoro dipendente e pensioni. La ragione comportamentale può sembrare scontata, in quanto tali redditi vengono percepiti già al netto dai lavoratori e dunque sono ben più difficili da evadere. In questo senso l’IRPEF, contrariamente al progetto originale, è finita per diventare un’imposta sempre più speciale, ossia concentrata a colpire determinate forme di redditi.
Quale strada intraprendere?
Diviene allora lecito chiedersi se abbia ancora senso parlare di equità, quando buona parte della spesa pubblica viene finanziata da lavoratori dipendenti e pensionati, e soprattutto se il grado di progressività di questa imposta possa ancora essere giustificato. Pertanto, in quest’ottica, una riforma tributaria che riveda il livello delle aliquote e il trattamento dei redditi che oggi sfuggono alla tassazione personale sembrerebbe auspicabile. Passando ad imposte più semplici il profilo di progressività potrebbe essere recuperato attraverso altre strade che concernono la spesa pubblica e le politiche sociali.
Nondimeno deve essere sottovalutato il fenomeno dell’evasione fiscale. L’Italia è uno dei Paesi in Europa a più alta evasione, ma comparando il nostro sistema tributario con quello delle altre nazioni si nota quanto sia riduttivo ricollegare ciò esclusivamente all’alta pressione fiscale. Sicuramente le alte aliquote marginali incentivano chi riesce a non dichiarare i propri redditi, ma resta difficile aspettarsi che una riduzione delle stesse sia sufficiente a far riemergere il sommerso. Tralasciare questo problema potrebbe limitare la riuscita delle politiche tributarie che si deciderà di intraprendere nella prossima legislatura.