Il XX secolo, spesso definito il “Secolo breve”, è stato caratterizzato da numerosi scontri, dagli Stati Uniti contro l’Unione Sovietica a quello di due visioni economiche completamente diverse. Se dal punto di vista politico questa battaglia sembra essere stata vinta dagli Stati Uniti, con la dissoluzione dell’URSS nel 1991, dal punto di vista economico il ragionamento appare ben più complesso ed articolato.
Volendo semplificare e riassumere le diverse visioni economiche, è possibile rappresentare tale dicotomia tramite lo scontro tra gli economisti John Maynard Keynes e Friedrich von Hayek. Il primo ebbe un immediato successo internazionale, mentre il secondo rimase per molto tempo ignorato e soltanto in età avanzata ottenne il premio Nobel per l’economia per le sue ricerche. Non solo i due avevano idee antitetiche tra loro, ma anche le loro personalità erano quanto di più diverso potesse esistere.
Keynes
Keynes proveniva da una famiglia dell’aristocrazia britannica e fin da giovane aveva manifestato idee rivoluzionarie. Dopo gli studi a Eton si iscrisse al King’s College di Cambridge al corso di matematica, ma ben presto passò ad economia, dove ebbe come docenti Pigou e Marshall, di cui divenne ben presto uno dei principali allievi. Il suo primo contributo in campo macroeconomico si ebbe già nel 1913, con la pubblicazione dell’Indian Currency and Finance, in cui furono anticipati alcuni punti cardine del pensiero keynesiano, come il ruolo dello stato nell’economia.
Durante la Prima Guerra Mondiale divenne consigliere del Cancelliere dello Scacchiere e del Ministro del Tesoro britannico. Si distinse per l’abilità con la quale gestiva i rapporti di credito tra la Gran Bretagna e i suoi alleati e fu perciò nominato rappresentante del Tesoro alla Conferenza di pace di Versailles nel 1919, dove denunciò le inique condizioni imposte alla Germania.
Da quel momento la sua popolarità ed influenza crebbe notevolmente. Nel 1930 iniziò a sviluppare la teoria del ciclo economico nel Treatise on Money, che poi venne ripresa ed ampliata nel celebre The General Theory of Employment, Interest and Money del 1936. In quest’opera Keynes sconvolse i principi dell’economia classica ed illustrò il ruolo che lo Stato avrebbe dovuto ricoprire nell’economia. La validità degli assiomi proposti da Keynes fu confermata anche dalla politica del New Deal varata da Roosevelt negli USA per uscire dalla crisi del 1929.
L’influenza di Keynes raggiunse così l’apice, rendendolo una celebrità. Il suo pensiero, le sue idee e i propri ideali non morirono con lui, ma furono ripresi da numerosi seguaci e furono fonte d’ispirazione per numerosi governi.
Hayek
La storia di Hayek per certi versi può essere considerata diametralmente opposta a quella di Keynes. Proveniva da una famiglia dell’aristocrazia austriaca, con numerosi esponenti di spicco della società accademica viennese. Tuttavia, a differenza di Keynes, non fu mai uno studente brillante. L’interesse per l’economia nacque in trincea, durante la Prima Guerra Mondiale, quando lesse il suo primo libro sul tema.
Dopo la fine della guerra si iscrisse all’Università a Vienna, dove ebbe come maestri alcuni esponenti della Scuola Austriaca. Una volta conclusi gli studi divenne assistente di Von Mises in un ente deputato alla gestione del debito di guerra che l’Austria aveva contratto. La guida di Von Mises fu di fondamentale importanza per Hayek, che grazie al suo aiuto assunse la direzione dell’Istituto Austriaco per lo studio del ciclo economico.
La dicotomia
Il primo incontro-scontro tra i due si ebbe quando Hayek fu invitato ad un meeting, organizzato da Keynes, del London and Cambridge Economic Service. Keynes, con una dialettica forbita ed elegante, riusciva quasi ad ipnotizzare i presenti, mentre Hayek, con un inglese caratterizzato da un marcato accento tedesco e con numerosi tecnicismi, risultava estremamente difficile da comprendere.
Tuttavia, nonostante queste differenze e le idee diametralmente opposte, Hayek colpì il più anziano Keynes ed anche Lionel Robbins, che fu fondamentale per l’inizio della sua carriera accademica nel Regno Unito. Infatti quest’ultimo lo invitò a tenere dei seminari alla London School of Economics (LSE), che si tramutarono ben presto in una cattedra offerta per il 1931. A quegli anni si devono anche le prime opere rilevanti di Hayek, come Prices and Production ed altri contributi nella discussione sui tassi di interesse.
La Seconda Guerra Mondiale cambiò la vita di Hayek: divenne cittadino britannico e con la LSE si trasferì a Cambridge, dove ottenne una stanza accanto a quella di Keynes. I due professori condivisero anche turni di guardia contro le invasioni aeree sul tetto della King’s Chapel, una situazione surreale anche per gli studenti. Nel pieno della guerra (1943) Hayek pubblicò una delle sue opere principali, The Road to Serfdom, quasi in risposta alla General Theory, dove condannò i mali del socialismo e del fascismo, denunciando con veemenza i problemi della pianificazione economica.
Tuttavia il dilagare dei principi keynesiani limitò il successo dell’opera e portò Hayek a non occuparsi più di economia per un lungo periodo. Infatti, a partire dagli anni ’50 divenne professore di filosofia politica all’Università di Chicago, diventando famoso più per i suoi studi sulla psicologia teoretica che per le sue idee economiche. Tale periodo fu anche caratterizzato da una crescente frustrazione per il fatto che le sue posizioni sembravano completamente anacronistiche con il contesto storico e per la situazione economica, sempre più precaria. Fu così costretto a tornare in Germania, dove l’Università di Friburgo gli offrì una pensione universitaria. Al contempo perse la storica amicizia di Robbins, che iniziò a rivalutare le idee di Keynes criticando la Scuola Austriaca.
La riscossa di Hayek si ebbe soltanto con lo shock petrolifero degli anni Settanta e la conseguente stagflazione, che mostrò tutti i limiti dei principi keynesiani. Sull’onda di questa riscoperta del pensiero hayekiano, nel 1974 ottenne il premio Nobel per l’economia. Da allora e fino alla morte la sua popolarità crebbe sempre di più, fino a raggiungere l’apice nel 1991 con il crollo dell’URSS, che segnò la vittoria del libero mercato su un’economia pianificata. Tuttavia, il successo e i meriti tributati da numerosi capi di Stato ed economisti non lo ripagarono totalmente delle delusioni vissute per oltre trent’anni.