La crisi finanziaria globale del 2007-2008 ha causato un forte incremento del debito sovrano nelle economie avanzate, portando il rapporto debito pubblico/PIL intorno al 100%. L’Europa, in particolare, è stata protagonista di un biennio disastroso che ha interessato in particolare 5 Stati, ironicamente definiti P.I.I.G.S.: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna. Nei primi tre l’impatto è stato di una rilevanza tale da richiedere l’intervento della Troika, ossia Fondo Monetario Internazionale, BCE e Commissione Europea per evitarne la bancarotta. Gli altri sono stati invece sede di intensive politiche nazionali di austerity, conclusesi con successo nel 2013. La crisi, emersa nei Paesi con maggior deficit di bilancio ha condotto ad un ampliamento dei differenziali di rendimento dei titoli, i credit spread, e l’assicurazione di rischio sui credit default swap tra questi e gli altri Stati dell’UE, in particolare con la Germania.
Il caso del Portogallo
Il Portogallo è stato una delle peggiori vittime della crisi del 2008, arrivando ad avere il bilancio dei fondi pubbici in negativo di 3 miliardi, con forte rischio di bancarotta per il Tesoro lusitano. Una situazione tanto catastrofica ha reso necessario l’intervento dell’UE e dell’FMI. La gravità del quadro portoghese trova origine in politiche precedenti poco adeguate e lungimiranti sul piano economico che hanno portato Lisbona lontana dagli obbiettivi minimi. Le problematiche sono state tali da condurre il premier portoghese Socrates a dare le dimissioni in seguito alla bocciatura in aula delle misure di austerità. Il nuovo governo conservatore, eletto a giugno 2011, guidato da Pedro Passos Coelho, intendeva, al contrario di Socrates, puntare molto sul fare pressioni per ricevere aiuti dall’UE.
Le cause della crisi
La crisi portoghese cominciò nel novembre 2009, quando si è vista al rialzo la stima del rapporto debito pubblico/PIL dal 5,9% all’8%, che arrivò a raggiungere la soglia dell 11% a fine 2010. Lisbona varò un piano di risanamento dei conti per riportare il deficit sotto il 3%, come richiesto dal Patto di Stabilità e Crescita, entro il 2013. Il calo di fiducia conseguente a questo crollo finì per condurre alla corsa dello spread dei titoli di stato decennali sul Bund con una successiva rivalutazione del rating attuata da S&P da A+ ad A-. Nell’aprile del 2011, il Portogallo ha ufficializzato la richiesta di aiuti all’Unione Europea, che prevede il successivo coinvolgimento della BCE e dell’FMI. In seguito alle varie pressioni dei leader europei, l’Unione, attraverso lo European financial stability facility, l’attuale fondo salva-stati, è intervenuta per aiutare Lisbona con un finanziamento da 75 miliardi di euro, dietro condizionalità garantite dalla ratifica di un Memorandum of Understanding. Il messaggio dell’Europa al Portogallo non ha lasciato spazio a fraintendimenti. Chiunque governi o governerà dovrà onorare gli impegni presi con le istituzioni comunitarie, seguendo le stesse misure severe già adottate con Grecia e Irlanda. Questo è stato sottolineato dallo stesso presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, consapevole delle difficoltà del Paese lusitano. L’effetto domino del Portogallo ha coinvolto anche la Spagna e l’Italia, vittime di un declassamento del rating operato da Moody’s, con un’ulteriore visione al ribasso del settore bancario.
Le soluzioni per uscire dalla crisi
Gli obbiettivi necessari per cominciare ad uscire dalla crisi sono stati raggiunti solo con l’applicazione di una dura politica di austerity, caratterizzata da tagli diffusi. La Troika, oltre ad una vistosa riduzione della spesa pubblica, ha preteso una riforma del lavoro basata su una maggiore flessibilità dei licenziamenti, sulla riduzione del 10% dei sussidi di disoccupazione, sulla cancellazone di alcuni giorni festivi, sulla riduzione delle ferie e degli stipendi per il 25%, dei dipendenti pubblici. Per garantire un assesto del bilancio e ricominciare a registrare crescita, è stata aumentata l’aliquota IVA. Non è stato colpito il settore privato, in cui tredicesima, quattordicesima e soglia di salario minimo non hanno subìto riduzioni. La mancanza di riforme drastiche ha consentito al Portogallo di mantenere un complessivo ordine pubblico. Il risultato finale delle misure di austerity è stato quello di far tornare alta la fiducia riposta dalle istituzioni finanziarie nello Stato lusitano, con un disavanzo debito\PIL nei successivi tre anni assestato intorno al 4,5%. Il Portogallo torna a crescere anche grazie all’aumento del volume delle esportazioni e della produzione, a seguito di incentivi da parte della Germania. La strategia adottata dal governo portoghese, una volta uscito dalla crisi, si è concentrata non sull’ottenere effetti immediati, quanto sul lungo termine, ovvero sulla modifica del tessuto imprenditoriale, favorendo la piccola e media impresa, aumentando il volume delle esportazioni ed influenzando il panorama occupazionale grazie ad un’espansione della produzione, favorita dall’intervento di investitori privati. I tagli e le politiche ordinate dalla Troika hanno permesso all’UE di presentare il caso del Portogallo come un esempio da seguire per arrivare alla ripresa economica e sociale in seguito a periodi di grande difficoltà.