L’Impero Romano, alla fine del II secolo d.C., era solido a livello politico, militare ed economico. La situazione di stabilità, però, dopo il periodo delle guerre civili, con la crisi culturale in realtà ancora in corso, era precaria. Infatti mancava ormai lo spirito collettivista del Mos Maiorum, ovvero i principi di comportamento che avevano portato la civiltà romana a diventare tanto fiorente. Il grano africano e l’olio spagnolo erano le principali risorse per il sostentamento della popolazione. L’esercito di Roma, in antichità, si reggeva sui contadini-soldato. Questi soggetti erano contadini che lavoravano il terreno ricevuto in cambio del loro servizio nell’esercito e, in tempo di guerra, potevano essere richiamati a combattere. Questi verranno soppiantati dall’esercito professionista, con la riforma di Gaio Mario, ed i grandi latifondi prenderanno il posto dei piccoli appezzamenti; i latifondi complicheranno l’economia dal III secolo in poi. Altro fattore, non indifferente, per l’economia della Roma imperiale erano le campagne militari. Di certo i bottini di guerra, nei quali erano inclusi anche gli schiavi, e le nuove risorse delle regioni conquistate erano dei fattori positivi. Le campagne di conquista erano paradossalmente il modo migliore per difendersi dalle popolazioni ostili. Infatti, annettendo una regione, Roma poteva, al contempo, eliminare una minaccia e trarne profitto, usando parte del ricavato per pagare l’esercito. Con le conquiste Roma incrementò il commercio di schiavi all’interno dell’Impero. L’imperatore Adriano decise di fermare la politica espansionista e di rafforzare i confini. Adriano, infatti, si rese conto che l’Impero era troppo vasto e difficile da governare e che se si fosse andato avanti con una politica di espansione la struttura economico-burocratica che reggeva l’Impero Romano sarebbe implosa. La decisione di Adriano posticipò di un secolo la crisi economica, politica e militare che avrebbe portato prima la divisione di Roma in due entità e successivamente il crollo della parte occidentale, nel 476.
Amministrare un territorio così vasto e multietnico non era semplice. Fin dai tempi della prima espansione territoriale, i governanti romani puntavano sull’appoggio delle aristocrazie locali. Ai provinciali non si chiedeva altro che lealtà e il pagamento delle imposte. Il governo di Roma non trattava le province conquistate come paesi sottomessi, ma faceva opere pubbliche, concedeva ampia libertà di espressione culturale e relativa autonomia politica. Lo Stato romano era durissimo con chi si ribellava al governo centrale ma non era per nulla oppressivo, né sul piano politico né sul piano fiscale. Si può dire che, anche nel II secolo d.C., la Roma imperiale riusciva a dare ai cittadini e ai provinciali più di quanto fosse necessario. Come tipico nell’età antica, la prosperità economica dipendeva in gran parte dall’agricoltura, la terra era perciò il bene di maggior valore. Per questo motivo i proprietari terrieri cercavano di ottenere la maggior produzione possibile dal loro terreno con il lavoro di contadini, liberi o schiavi. Assicurando la pace, la legalità e prelevando le imposte, lo Stato contribuì notevolmente a sviluppare l’agricoltura e il commercio nel Mediterraneo. Grandi quantità di olio, grano, vino e molti altri prodotti circolavano in tutto il territorio romano. Materie prime di ogni genere alimentavano la produzione artigianale. Le merci giungevano via terra e via mare nei centri urbani più importanti per soddisfare le esigenze delle masse ed il desiderio di lusso dei cittadini più facoltosi.
Nonostante l’apparente stabilità recuperata in età imperiale, una significativa parte degli intellettuali romani ci presenta, di fatto, una società decadente. Emblematiche sono ad esempio opere come “Metamorfosi (L’Asino d’oro)” di Apuleio, e il “Satyricon” di Petronio. Inoltre, dal III secolo, la Roma imperiale cominciò ad avere problemi molto concreti.
Lo spazio
Mantenere presente il potere centrale in tutto l’Impero era difficile, soprattutto con i mezzi del tempo. Si dovettero quindi fermare le azioni di conquista, che avrebbero potuto mettere sotto controllo i belligeranti popoli del nord Europa.
Le risorse
Per colpa da una parte della sovrappopolazione rispetto alla capacità produttiva, dall’altra di una cattiva amministrazione delle risorse, cominciò ad esserci una carenza di queste ultime. In particolare, la cattiva amministrazione venne principalmente dalla realtà di una Roma imperiale composta da ceti privilegiati, grandi proprietari di latifondi, i quali, con le loro ricche rendite, non avevano alcun interesse nel far fruttare il loro terreno.
La spesa militare
Le forti pressioni dall’esterno, da parte di popoli che dovettero percepire la crescente debolezza dell’Impero Romano, costrinsero ad una pesante spesa militare, non essendoci più nuove conquiste e mancando così un ritorno economico. Di fatto si arrivarono a dover spendere nell’esercito più soldi di quanto l’economia potesse sostenere.
Nel bilancio dello Stato, la sola spesa per la difesa arrivò ad assorbire il 60% delle entrate tributarie. Anche la burocrazia aveva un peso economico considerevole. C’erano anche altre spese, straordinarie o periodiche, alle quali non si poteva rinunciare come la costruzione di templi, di strade, acquedotti, le distribuzioni gratuite di grano, l’organizzazione di feste e spettacoli. Dopo il 160, con l’accentuarsi del deficit dello stato, Marco Aurelio fu costretto a vendere parte del tesoro imperiale. Per far fronte ad una crescente crisi, quando non c’è possibilità di frenarla, non resta che aumentare le imposte o coniare le monete con le quali soddisfare i pagamenti. Le monete erano d’argento e da Marco Aurelio in poi la quantità di metallo presente fu gradualmente ridotta, fino a scendere al 50% con Settimio Severo nel 195. Poiché la moneta valeva sempre di meno ne veniva richiesta di più per pagare la stessa merce e i prezzi aumentavano: si assisteva ad un classico caso di inflazione.
I successori di Augusto, per fronteggiare le pressioni delle popolazioni barbariche, non potendo permettersi di intraprendere nuove campagne di espansione fortificarono i confini. Tuttavia, nel 167, lungo l’alto Danubio, complice l’esondazione del fiume, Quadi e Marcomanni penetrarono nel territorio romano fino ad Aquileia (Friuli). Il sistema di difesa romano reagì con lentezza. La facilità con cui i barbari erano arrivati fino in Italia dimostrò l’inefficienza del sistema difensivo di Roma in quel periodo. Nel terzo secolo il moltiplicarsi degli attacchi e delle invasioni dei popoli ostili provocò una crescente militarizzazione dell’Impero. Settimio Severo portò a 35 le legioni, che nel tempo salirono addirittura a 60. L’aumento delle truppe aggravò il deficit di bilancio.
Mentre la popolazione, nel suo complesso, si impoveriva, c’era una minoranza che diventava sempre più ricca. In età tardo-antica il numero degli schiavi si ridusse in maniera notevole, sostituiti da lavoratori liberi. Si diffuse un nuovo sistema, il Colonato, in tutto il territorio romano. I lavoratori, detti coloni, erano legati alla terra che lavoravano. Erano alle dipendenze di un grande latifondista, dal quale non venivano mantenuti, come gli schiavi, ma ricevevano appezzamenti di terra per ricavarne il proprio sostentamento. Al padrone dovevano corrispondere un canone in denaro o in natura e, soprattutto, non potevano abbandonare la terra, né per dedicarsi a un mestiere diverso né per cambiare residenza; la terra e chi la lavorava costituivano quindi un’unità inscindibile, che passava di mano in blocco, se cambiava il proprietario. A parte la nascita libera, insomma, non molto differenziava i coloni dagli schiavi. La loro vita era assai dura, senza contare che le campagne erano le più esposte alle invasioni, tanto che la casa padronale era di solito fortificata, per affrontare meglio eventuali attacchi. In queste campagne tardo-antiche il Medioevo, con i suoi feudatari e i suoi servi della gleba, stava già prendendo forma. La Crisi del terzo secolo portò l’Impero Romano all’ultima fase della sua esistenza come unità politica. I conflitti interni, le rivolte, le incursioni dei barbari e le pressioni ai confini rendevano impossibile l’amministrazione di tutto il territorio da parte del governo di Roma. Così Teodosio, nel 395, decise di dividere l’Impero in due entità statali differenti e lasciarle in eredità ai suoi due figli: l’Impero D’Occidente ad Onorio, che resistette fino al 476, e l’Impero D’Oriente ad Arcadio, che invece riuscì a riacquistare stabilità e sarebbe durato fino alla fine del Medioevo, cadendo nel 1453.