Quando Hugo Chavez prese il potere in Venezuela, nel 1999, iniziò una rivoluzione politica, economica e sociale che prese il nome di “Revolución Bolivariana”, costruita sulle fondamenta di quello che avrebbe dovuto essere il socialismo del XXI secolo. Purtroppo nel corso degli ultimi anni abbiamo potuto osservare come l’eterogenesi dei fini abbia fatto il suo corso: partendo da un ideale democratico puro, basato sui principi di uguaglianza e fraternità, il populismo chavista, capitanato dal 2013 da Nicolas Maduro, ha portato un paese come il Venezuela, un tempo tra i più felici al mondo, in un baratro cupo e senza fondo che sta ammazzando anche l’ultimo rimasuglio di democrazia. La forte e inesorabile crisi politica, sociale ed economica ha portato ad un governo autoritario che opera soprusi sulla libertà e la dignità degli individui grazie all’appoggio militare, soffocando nel sangue le manifestazioni pubbliche, esautorando il parlamento e portando il paese verso l’oscurità della dittatura più bieca. La crisi venezuelana, scoppiata definitivamente nel 2013, potrebbe continuare e peggiorare la già drammatica situazione della popolazione.
Le cause che possono essere legate alla triste situazione odierna sono diverse; tra le principali troviamo senza dubbio la caduta dei prezzi del petrolio. La crisi petrolifera mondiale iniziata nel 2014 ha messo al tappeto l’economia venezuelana che già soffriva per i postumi della grande recessione del 2007. Il settore petrolifero, che aveva reso il Venezuela uno degli stati più ricchi dell’America latina nel corso del primo decennio del XXI secolo, era infatti responsabile del 90% degli introiti economici del paese. Una grandissima parte dei venezuelani aveva un impiego in imprese petrolifere statali e così, dopo la caduta dei prezzi, la maggioranza di essi si ritrovò senza alcun mezzo di sostentamento. Il tasso di disoccupazione, nel corso degli ultimi anni, è passato dal 18.1% al 21.4% secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale. Nel 2013 il barile venezuelano veniva quotato 99.87 dollari, a febbraio 2016 era scambiato a 24.25 dollari. L’impatto della caduta dei prezzi del petrolio è stato devastante per un stato che per vent’anni aveva costruito la sua intera economia a partire dall’oro nero. Il conto corrente statale ha registrato un importante deficit a partire dal 2015, in concomitanza con una compressione delle importazioni: ciò ha creato un ulteriore deficit nella bilancia dei pagamenti che ha fatto collassare definitivamente le importazioni del 52%.
In secondo luogo è possibile citare la dipendenza di energia elettrica legata per il 73% alla centrale idroelettrica Simon Bolivar; questa eccessiva dipendenza, unita ai fenomeni de “El Niño” e a una terribile siccità, ha affossato il settore agroalimentare venezuelano contribuendo in maniera decisiva alla scarsità di alimenti presenti sul mercato. La crisi nella fornitura di alimenti è divenuta un punto critico per il governo socialista. Durante la gestione chavista l’importazione di alimenti iniziò a mostrare le prime difficoltà, dovute anche alla decisione del governo di controllare il cambio del bolivar, provocando una spaventosa inflazione interna. Con la caduta dei prezzi del petrolio e la rigidità nelle importazioni dovuta al controllo del cambio, in poco tempo la scarsità di cibo e medicine è divenuta intollerabile; tuttora gli ospedali venezuelani si trovano in un’emergenza terribile dovuta alla mancanza di farmaci. La scarsità crescente ha provocato fenomeni di razzie presso i pochi supermercati rimasti aperti e un corsa alle casse per cercare di accaparrarsi i pochi medicamenti e cibi presenti sugli scaffali. Il tutto ha fatto precipitare il paese nel vortice dell’iperinflazione, arrivata al 741% nel 2017 (si stima potrà raggiungere il 1660% a fine anno). Il crollo del potere d’acquisto dei venezuelani non ha fatto altro che alimentare ancor più aggressive manifestazioni di odio verso il governo e in particolare verso Maduro. Si stima un contrazione del Pil del 12% nel 2016, che sommata ai precedenti dati porta ad una caduta del Pil di oltre il 21% dal 2013.
La crisi economica inoltre è stata condita durante gli anni da eclatanti frodi, come quella che ha riguardato un ex colonnello dell’esercito che aveva ricevuto dal governo oltre 23 milioni di dollari attraverso la sua azienda, impegnata nel settore alimentare, al fine di distribuire in tutto il paese generi alimentari; l’impresa si rivelò fittizia e il denaro pubblico sparì nel nulla. Altre incredibili frodi si sono susseguite negli anni ad opera di politici ed esponenti di spicco del “Gran Polo Patriótico Simón Bolívar (GPPSB)”, partito di Maduro.
Mentre il debito pubblico e privato verso l’estero continua a crescere, la scarsità di entrate economiche porta ad una mancanza di fondi che paralizza di fatto ogni azione di politica economica. Una delle altre conseguenze della crisi riguarda le linee aeree che già dal principio del 2013 avevano avuto difficoltà a realizzare i voli di linea verso Caracas. Questo ha creato un progressivo abbandono della rotta da parte delle più grandi compagnie, producendo un collasso del turismo nel paese che ha ovviamente peggiorato la situazione economica e alimentato la tensione interna. L’opposizione ritiene che una delle cause del perdurare della tragica situazione economico-politica sia proprio il presidente Nicolas Maduro. Henrique Capriles, oppositore e governatore dello stato di Miranda, ha proposto un referendum per rimuovere il presidente dal suo incarico e indire elezioni anticipate, ma lo stesso Maduro usando il pugno di ferro ha sospeso la consultazione popolare. In questi giorni le manifestazioni hanno portato all’uccisione di un poliziotto, colpito da un’arma da fuoco durante una protesta antigovernativa nello stato di Merida. L’uccisione porta il bilancio dei morti a 67 dall’inizio delle proteste.