La financial deregulation dal Glass-Steagall Act fino ai giorni nostri
In questo articolo parliamo di uno dei temi principali in ambito finanziario: la financial deregulation, o “deregolamentazione finanziaria”.
Anzitutto cerchiamo di capire di cosa si tratti. La deregulation in senso lato consiste nella riduzione, o addirittura eliminazione, del potere dei governi nei confronti di una particolare industria; dunque è un processo volto principalmente a creare più competizione all’interno del settore. Essa ha quindi svolte molto importanti sui mercati in cui viene attuata.
In questo articolo cercheremo di capire assieme la deregulation nel contesto dell’industria finanziaria, processo che si è articolato principalmente negli USA nel corso della storia.
Gli appassionati di economia e finanza avranno sicuramente sentito parlare del Financial Choice Act, riforma finanziaria varata da Trump e da pochi giorni approvata alla Camera dei Rappresentanti. L’obiettivo del presidente americano è quello di abrogare parzialmente il Dodd-Frank Act, legge dell’amministrazione Obama che poneva in essere forti vincoli regolatori al settore finanziario, al fine di rilanciare un forte meccanismo di deregolamentazione. Dunque il dibattito tra coloro che vogliono regolamentare il mercato e quelli che invece lo vorrebbero lasciare libero è tutt’oggi aperto tra i cittadini americani. Per comprendere meglio la questione però è necessario inquadrare il processo di deregulation sin dai suoi albori.
Partiamo dal lontano 1933, quando l’amministrazione di Franklin D. Roosevelt, mossa dalla Grande depressione esplosa nel 1929, promosse varie forme di regolamentazione finanziaria volte a controllare l’attività degli istituti finanziari. Tra le riforme principali spicca il noto Glass-Steagall Act, il quale proibiva alle banche di eseguire contemporaneamente attività commerciali e di investimento, suddividendole quindi in queste due categorie.
Il mercato americano era dunque regolamentato da vincoli forti posti in essere dalle riforme, perlomeno questo è quello che accadde sino a circa la metà degli anni ’80, quando ormai da tempo aleggiava la convinzione che una legislatura troppo rigorosa limitasse eccessivamente le opportunità di investimento e, più in generale, la crescita dell’intero sistema economico. Fu così che il presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, varò una serie di riforme volte ad abrogare proprio il Glass-Steagall Act, permettendo appunto alle banche di svolgere sia attività commerciali che di investimento.
La deregulation però non si è fermata qui. Gli anni ’90 videro una crescente ingegnerizzazione della finanza, con la nascita degli strumenti derivati, la cui compravendita non veniva registrata in modo trasparente e generava quindi forte incertezza. In aggiunta, nel 1994, il Riegle-Neal Interstate Banking and Branching Efficiency Act fu approvato, permettendo alle banche di creare più filiali per espandere i propri volumi di affari. La situazione dell’industria finanziaria si era completamente ribaltata rispetto all’impalcatura normativa che assumeva negli anni ’40, diventando un mercato completamente non regolato, e lasciato libero di crescere.
Effettivamente il mercato si espanse tanto, sostenendo tassi di crescita che scavalcavano di gran lunga le infrastrutture tecnologiche e legali dell’industria; per esempio i derivati passarono da un valore nominale di 106 mila miliardi di dollari nel 2001 a 531 mila miliardi nel 2008. Cifre esorbitanti che sicuramente lasciano a bocca aperta, ma questa era la forza dirompente che la financial deregulation imponeva sul sistema finanziario ed economico, permettendo a questi settori di sostenere tassi di crescita mai visti prima. La crescita fu poi interrotta dalla crisi dei mutui subprime del 2008, dunque quei mutui che venivano dati a persone che difficilmente avrebbero potuto ripagarli. La crescente erogazione di mutui fece crescere vertiginosamente il prezzo delle case in una bolla che poi implose trascinando con sé l’economia globale.
Facendo un punto della situazione a posteriori, sicuramente possiamo intuire la forte correlazione che c’è stata tra un mercato libero di espandersi senza regole e lo scoppio di una delle più drastiche crisi economiche della storia. Ma tutto questo perché è accaduto? È complicato dare una spiegazione razionale, ma obiettivamente un mercato non regolato e poco trasparente è più difficile da controllare. Pensiamo alle crisi dei subprime: perché le banche continuavano ad erogare mutui a persone che non erano in grado di ripagarli? E soprattutto come i più grandi istituti di credito mondiali non si sono resi conto delle dimensioni della bolla speculativa? Tralasciando il fatto che all’epoca il sistema era fraudolento, molto probabilmente nessuno si accorse di niente a causa dei pochi vincoli informativi che hanno generato un’opacità del sistema.
Adesso è il momento di tornare ai giorni nostri, riallacciandoci al discorso iniziale sulla nuova riforma di Trump che dovrebbe abrogare il Dodd-Frank Act, legge che tra le altre cose ha costituito la prima e unica vera forma di regolamentazione del sistema finanziario dopo il Glass-Steagall Act (ci è voluto quasi un secolo, considerando anche lo scoppio della crisi). Il neo-presidente americano vorrebbe rendere il mercato più flessibile e con meno vincoli, sostenendo che l’attuale riforma sia troppo complessa nel suo sistema di regole e dunque causa di una crescita economica ristagnante. Dire chi ha ragione e chi torto è oggettivamente difficile: per capirlo occorre uno studio approfondito su queste due leggi, magari attingendo a frammenti del testo legislativo.
Effettivamente il tema della financial deregulation è delicato e complesso. Sbaglieremmo a ridurlo ad un semplice binomio tra chi vuole il libero mercato contro chi invece lo vorrebbe regolamentare: si trattandi qualcosa di più grande. Nel 2007 il valore complessivo dei titoli derivati era arrivato a più di dieci volte il Pil mondiale: cifre da capogiro che lasciano intendere la forza dirompente di un settore che, se non controllato, può espandersi generando ricchezza senza limiti, per poi vederla svanire nel nulla come è accaduto nella crisi dei mutui subprime. Il mercato deve evidentemente essere monitorato. Ovviamente non è facile quantificare la misura di questi vincoli, soprattutto considerando il trade-off che sussiste tra crescita economica e sicurezza che la regolamentazione può offrire, anche in termini di trasparenza.